Colori più accesi e sfumature olfattive diverse e più ampie, ma soprattutto sapori più decisi e particolari, maggior salubrità e digeribilità. Perché i vini naturali sono i vini del futuro che profumano di ritorno a sapori e saperi antichi.
Nelle scorse settimane, con i primi due articoli di questa nuova rubrica, abbiamo affrontato, in maniera succinta, alcuni degli aspetti fondamentali che caratterizzano il mondo del vino naturale, incentrando il racconto su quanto avviene in vigna e su ciò che succede in cantina. Abbiamo cercato di marcare le differenze che ci sono alla base tra la produzione di vino naturale (o secondo natura) e quella di vino convenzionale o industriale. Ora chiudiamo il cerchio rivolgendo il nostro sguardo alle differenze che tra questi vini possono essere colte con il calice in mano e dunque sull’aspetto che pragmaticamente interessa maggiormente il consumatore finale: colori, odori e sapori.
Samuel Cogliati nel suo volumetto “Vini naturali” sostiene non sia possibile accomunare i vini naturali in un’unica categoria e non si può dargli torto. In effetti alcuni si differenziano poco da quelli convenzionali per aspetto, olfatto e soprattutto gusto, altri invece si spingono verso conseguenze estreme, sia sul piano visivo, che olfattivo e gustativo.
Colori e odori, maggior varietà e peculiarità
L’aspetto cromatico dei vini naturali assume colori e sfumature diverse rispetto ai vini convenzionali. Spesso i bianchi sono di un giallo carico e talora i rossi sono più opachi ed evoluti nella tonalità, per via di una lieve ossidazione. Queste caratteristiche possono essere acuite dall’assenza di solfiti. Si possono incontrare vini arancioni, cioè bianchi che fanno qualche giorno di macerazione sulle bucce e ne estraggono colore e complessità. Esistono anche vini un po’ torbidi o con un po’ di deposito perché spesso i vini naturali non sono filtrati e vini frizzanti e spumanti “sur lie”, non sboccati, ovvero con il fondo ricco di lieviti in sospensione.
I vini ottenuti da una viticultura naturale traggono un carattere forte dalla generosità aromatica di uve mature e intatte, provenienti da terroir in cui la vitalità dei suoli e la biodiversità sono preservate, nonché dalla fermentazione spontanea, dalla loro variegata natura organica-batterica e da una vinificazione che rinuncia agli additivi standardizzanti. I risultati sono prodotti che escono dai canoni degli aromi enologici industriali e sono caratterizzati da note fruttate, floreali e speziate molto definite e tutt’altro che standardizzate, e da sentori più decisi e particolari, figli anche e soprattutto della vinificazione di varietà autoctone note e meno note, spesso volutamente trascurate dalla viticultura convenzionale.
Certamente è possibile incappare in difetti veri e propri, perché ci sono vini naturali buoni e altri meno buoni, proprio come i vini convenzionali. È bene però imparare a distinguere questi difetti da odori poco fini e poco nitidi, legati alla riduzione o a lunghi affinamenti sulle fecce fini, ma che sono temporanei e che possono ingannarci. Sentori di chiuso, di aria viziata, di straccio bagnato, di polvere di cantina, in genere sono destinati ad evaporare con l’ossigenazione del vino, infatti l’aria ripulisce il profumo, talvolta nel giro di pochi istanti nel calice, oppure nella permanenza in bottiglia o in un decanter. In genere, in casi come questo, il vino sarà migliore alcune ore dopo o addirittura il giorno dopo perché a contatto con l’aria i vini naturali rivelano la propensione a crescere d’intensità, fino ad esplodere nei profumi, e nei gusti, più pieni.
Sapori autentici e maggior salubrità
Ciò che accomuna tutti i vini naturali è sicuramente l’aver favorito la riscossa del sapore, l’aver restituito dignità di alimento al vino e ripristinato la centralità dell’atto del bere.
Nell’assaggio suddiviso per momenti (la classica tripartizione dell’analisi organolettica che cinquanta anni di critica enologica ci hanno inculcato), quello gustativo è il più delle volte condizionato dall’esame visivo e olfattivo, quando invece costituisce il vertice dell’esperienza, nella quale la qualità dell’alimento si completa dell’emozione dei profumi.
I vini naturali, in genere, sanno di uva. In particolar modo quelli giovani hanno il caratteristico sapore dell’uva appena premuta. Può sembrare scontato, ma non è così. È quasi impossibile cogliere odore e sapore di uva nei vini convenzionali.
Bevendo vini naturali in generale può capitare di sentire una maggior sapidità, acidità vibrante, sentori leggermente dolci derivati da lievi ossidazioni, di riscontrare la presenza di tannini ruvidi o aggressivi e talvolta di sentori più selvaggi e in genere un aroma particolarmente articolato, imprevedibile, originale.
Questo perché ogni vino è un’espressione del territorio e dell’annata senza mediazioni o correzioni che tendano a farlo somigliare al gusto già noto al pubblico, a quello prescritto dalle denominazioni o a qualche altro vino blasonato e pluripremiato. E anche perché in tutto e per tutto si tratta di vini vivi, che evolvono costantemente, a volte anche in modo imprevedibile.
Chi produce vino naturale vuole mettere in bottiglia il sole, il vento, l’acqua e la terra che lo hanno prodotto. E’ la ricerca del gusto originario del vino. Non esiste un equilibrio valido per tutti i vini, ma un’identità variabile dipendente da fattori geografici, umani e contestualizzati all’andamento climatico naturale. Questa complessità di fattori conduce ad una complessità dei sapori, che rende questo genere di vini estremamente gastronomici e versatili alfieri della tavola.
Tuttavia, l’aspetto forse più importante di tutti quelli che concorrono a delineare il profilo gustativo di un vino naturale è la maggior salubrità rispetto ai vini convenzionali che deriva da una viticultura rispettosa della natura e dal mancato utilizzo di additivi. Una salubrità che si declina con una maggior digeribilità e con l’assenza di mal di testa.
La levità e la bevibilità di questi vini ricordano le caratteristiche spesso osannate nel cosiddetto “vino del contadino”, che durante quello che viene definito “rinascimento enologico” (a cavallo tra gli anni 70 e 80 del secolo scorso) ha assunto un’accezione per lo più negativa, divenendo ingiustamente sinonimo di pressappochismo e poca cura per i fattori qualitativi. Come se non ci fossero tanti vini del contadino buoni e realizzati con cura e grande sapienza artigiana. Questa definizione ha condizionato per quasi 50 anni il consumatore medio esasperando la costruzione di un gusto omologato e la perdita, fortunatamente solo temporanea, di un patrimonio di sapori che oggi stanno fortunatamente tornando in auge.