Se dici pizza, dici Napoli. Eppure il capoluogo partenopeo, oggi, conta scuole diverse. Per chiarirci le idee, abbiamo incontrato Vincenzo Capuano, giovane pizzaiolo napoletano, imprenditore coraggioso e talento da vendere.
Vincenzo Capuano, detto Capvin, è il rapper della pizza a Napoli. “Con il rap puoi dire grandi cose in maniera semplice. Ti capiscono tutti”. Giovane, perfettamente centrato nel posto che si è scelto nel mondo. Nonostante l’emergenza in corso, ha rilanciato aprendo pizzerie e nuovi canali sempre più social, Youtube compreso.
Vincenzo Capuano ha molto da dire al mondo della pizza, non c’è timidezza che possa frenarlo. Nonostante una tradizione ingombrante, l’innovazione è arrivata e già si contano scuole alternative. Diversi modi di intendere impasti, cotture, condimenti.
Dopo un periodo di comprensibile disorientamento, tradizione e innovazione stanno imparando a convivere. C’è posto per tutti, ognuno con il proprio target di ‘pizza lovers’. Da una parte la pizza napoletana classica, quella ‘a ruota di carro’, soffice, elastica, grande al punto da debordare dal piatto. Con un magistrale equilibrio tra impasto, pomodoro e mozzarella.
Basta pronunciare il cognome Condurro e il pensiero vola all’Antica Pizzeria da Michele. Là dove è stata scritta la storia. E chi dice che la pizza romana è bassa, mentre a Napoli la fanno alta, quella storia proprio non l’ha studiata.
Parlando di pizza napoletana, la prima cosa che dovrebbe venire in mente è quel suo impasto ‘fondente’, scioglievole.
Oggi trovano spazio anche scuole diverse, contemporanee. La chiamano ‘pizza canotto’ perché ha un cornicione alto, gonfio, se vogliamo invadente. Può piacere oppure no, ma devi essere veramente bravo a sorvegliarne la lievitazione e soprattutto la giusta cottura.
Per capirne di più, abbiamo scomodato Vincenzo Capuano. Occhi luminosi, sorriso che oltrepassa la folta barba che sfoggia spavaldo. Il volto bello della Napoli che ci piace. Passione, lavoro, competenza, coraggio e quel tocco di teatralità marchiata a fuoco nel codice genetico. Vincenzo Capuano, detto Capvin, è bravo ‘overamente’.
Vincenzo, ti dichiari pizzaiolo da tre generazioni, ma proponi la pizza ‘canotto’.
Innanzitutto grazie per questa intervista, è sempre bello avere la possibilità di raccontarsi. Premetto che la mia è definita pizza contemporanea, cioè una evoluzione della pizza tradizionale. Però è risaputo che non possa esistere evoluzione senza tradizione. Quindi sì, nei gesti, nella metodicità, nei rituali sono napoletano verace, ma nel metodo di impasto sono contemporaneo.
Appunto. Persino a Napoli, oggi, si impongono i cosiddetti pizzaioli contemporanei, nonostante una tradizione più che ingombrante. Come se lo spiega un rapper della pizza come te?
Questa cosa del rapper mi fa sorridere. In poche parole, penso che il rap sia l’evoluzione di un linguaggio universale, la musica. Stesso discorso per la pizza, la mia rappresenta un andare oltre, un modo di essere. Diversi, speciali, ma con cose semplici.
Pizza e come digerirla. Spesso a subire la condanna è il lievito, che ne pensi?
Quello del lievito è un luogo comune, il lievito non fa male e, soprattutto, a 50 gradi muore. Immagina in un forno a 400 gradi.
Prova a catapultarti nel futuro.
Desidero continuare a girare il mondo, essere portavoce all’interno di eventi dedicati alla pizza napoletana. Vorrei continuare ad espandere il mio brand Capvin: vivere di pizza è meraviglioso. Ma soprattutto voglio continuare ad appassionarmi agli impasti, cercare un costante miglioramento. Anche per la vita delle persone che mi circondano.
Non solo un Maestro della pizza, ma anche un ottimo imprenditore. Al telefono hai accennato a nuovi partner stranieri, cosa cuoce in forno?
Imprenditore è una parola che un po’ mi spaventa, non mi sento imprenditore, sono un sognatore. Per fare impresa ho dei soci in ciascuna delle pizzerie che ho aperto, a Napoli e non solo. Sono più bravi di me con i numeri. Io ho un’idea, loro mi aiutano a realizzarla.
Ok, tutto ancora top secret. Ti concediamo di essere scaramantico, del resto sei napoletano. Parlando ancora di futuro, mai come in questo momento, per la sospirata ripresa economica, sarà etico e proficuo ‘fare rete’. Pensarsi squadra, lavorare come collettivo. Nel caso specifico, ristoratori che, all’occorrenza, promuovono altri ristoratori. Tu dove vai a mangiare la pizza? Va bene anche fuori Napoli.
Io mangio pizza ogni giorno, immagino s’intuisca anche dal mio fisico. Amo provare le pizze dei miei colleghi, stimo molto Peppe Cutraro a Parigi, pizzaiolo contemporaneo come me.
Siamo in piena delivery mania. I consumatori stanno ordinando più spesso per sentirsi coccolati dai ristoratori del cuore. A te come è andata?
Il popolo napoletano non sa stare senza pizza, nemmeno per una settimana, durante il primo lockdown erano tutti lì a fare la pizza in casa. Per noi è un servizio ed un onore entrare nelle case dei nostri clienti. Soprattutto con la pizza contemporanea che rende molto bene anche mangiata dopo molto tempo dalla cottura. Ma avere persone sedute al tavolo, vederle mangiare la pizza qui da noi è un’emozione unica.
Se ti chiedessimo una ricetta ‘rap’ per fare la pizza in casa?
Un altro aspetto che accomuna la Pizza al Rap è che non esistono ‘cover’. Un rapper è unico proprio come ogni pizzaiolo. Mi chiedi una ricetta veloce? Iscriviti al mio canale Youtube. Davvero, grazie per quest’intervista, ti aspetto in pizzeria. Vivere di pizza è meraviglioso.