“Turismo del vino in Italia. Storia, normativa e buone pratiche”. È stato presentato il libro scritto a quattro mani da Dario Stefano e Donatella Cinelli Colombini. La nostra intervista.
Il Covid ha paralizzato il comparto turistico in Italia e nel mondo. Un miliardo e quattrocento milioni di viaggiatori con un business annuo intorno a 1.300 miliardi sono bloccati. Il wine tourism nel Bel Paese vale oltre 40 miliardi. È diventata la vittima economica principale dell’epidemia con ripercussioni a catena sulla ristorazione, l’ospitalità e non solo. È possibile cambiare rotta e riconvertire la proposta enoturistica nel rispetto delle norme sanitarie? A fornire delle risposte e suggerimenti validi ci pensa il libro dal titolo “Turismo del Vino in Italia” ed. Edagricole, scritto a quattro mani dal Senatore pugliese Dario Stefano, autore della legge sull’enoturismo, e Donatella Cinelli Colombini, Presidente e fondatrice del Movimento turismo del vino.
La presentazione di Turismo del Vino In Italia si è svolta da remoto presso la Sala Caduti di Nassirya del Senato. Si tratta di un un manuale per gli attori del settore ma anche un libro per gli appassionati. Lo scopo del volume è costruire nuove opportunità e dare un’identità al moderno enoturista. Ecco la nostra intervista a Dario Stefano.
Com’è nata la collaborazione con Donatella Cinelli Colombini?
Con Donatella abbiamo spesso momenti di confronto e di scambi di idee. Tra queste anche quella di dedicare dei contenuti specifici a un settore, l’enoturismo nel nostro Paese, che possiamo considerare una vasta prateria ancora non del tutto esplorata. D’altronde è sempre bello dialogare con persone appassionate e competenti come Donatella. Turismo del Vino in Italia è il tentativo concreto di dotare gli operatori del settore di un vademecum utile per approcciare il tema dell’accoglienza non solo come opportunità di diversificazione del reddito, ma come possibilità concreta e affascinante per declinare il lavoro, l’impegno professionale, con la passione per il vino.
Quanto tempo ha richiesto la realizzazione?
Abbiamo impiegato circa un anno alla redazione e alla definizione del testo, poi affidato alla casa editrice. Purtroppo la pandemia ci ha costretto a rinviare la presentazione di questo manuale per diverse settimane. Poi però abbiamo voluto comunque realizzarla, anche solo aprendo alla partecipazione in remoto. Questo perché, pur vivendo un momento di grandi difficoltà, si apre davanti a noi una fase molto significativa. Sono infatti fortemente convinto che, oggi, in un momento nel quale abbiamo il dovere di ripensare alla ripartenza del Paese, proprio il complesso fenomeno che definiamo enoturismo sposi in pieno i goal da raggiungere: ripresa economica all’insegna della resilienza, incremento della sensibilità ambientale, maggiore digitalizzazione e promozione della cultura.
Chi è il moderno turista del vino?
Negli ultimi anni il turista del vino sta decisamente cambiando pelle. O, forse meglio, sono sempre di più coloro che possono essere ricompresi in tale definizione. Se, fino a poco fa, l’identikit del turista del vino ci restituiva essenzialmente una figura maschile, di età adulta e con una certa conoscenza del vino, da tempo oramai va aumentando la presenza femminile, delle fasce più giovani e poi quelle legate alla ricerca di una esperienza capace di coinvolgere diversi aspetti, molto sensoriale. Abbiamo quindi la necessità di saper intercettare questi cambiamenti e fornire una proposta all’altezza delle aspettative, che cambiano e crescono in maniera sempre più evidente.
L’enoturismo in Italia potrebbe diventare il volano della ripresa post covid?
L’enoturismo tiene in sé risposte e proposte di contrasto alla crisi determinata dal Covid. Si può fare enoturismo in assoluta sicurezza. Il richiamo al distanziamento sociale può addirittura diventare superfluo, se pensiamo alle infinite possibilità di meditare un calice di vino davanti a filari di viti, in Toscana come in Veneto o ancora degustare un rosato di Negroamaro su un muretto a secco in Salento a ridosso degli alberelli di vite o in una accogliente masseria. Ma dico di più: l’enoturismo risponde in maniera esemplare anche a quelli che sono gli obiettivi che ci siamo dati qui in Italia e che abbiamo ribadito in Europa per la ripresa. L’enoturismo è green, vuole una più diffusa digitalizzazione per rendere accessibile l’offerta, e soprattutto restituisce al fenomeno del turismo i tratti della sostenibilità.
Quali erano le criticità del settore in Italia e come cambierà dopo la pandemia?
Certamente la principale criticità era l’assenza di una norma ad hoc, che esponeva gli operatori ad un doppio rischio sanzionatorio, amministrativo e fiscale. Ma poi anche la difficoltà di percezione di un’offerta identitaria, la mancanza di un luogo digitale per la promozione di questo spicchio, l’assenza di indicazioni stradali attraverso cui raggiungere le cantine (la cartellonistica legata al codice della strada non include l’indicazione delle cantine) le aree rurali prive o non adeguatamente fornite di connessione.
Il Covid ha poi messo in luce nuovi aspetti: l’offerta attuale è ancora troppo uguale lungo tutto lo Stivale, quasi omologata, mentre cresce l’interesse del turista per esperienze che siano diverse, che stupiscano, che riescano a identificare il micro-luogo, che sappiano coinvolgere attraverso il vino e la cantina il territorio circostante, con la sua storia, la cultura, l’arte, le leggende, la natura. E parallelamente cresce la sensibilità ambientale di chi si accosta al vino e all’universo delle cantine, chiamate anch’esse ad esprimere meglio la loro attenzione al green e alle tematiche ambientali.
La nuova legge sull’enoturismo, ha avuto un iter complicato? Come regolamenta il comparto?
La norma sull’enoturismo è stata inserita nella legge di bilancio votata nel dicembre 2017. Si è trattato di una vera e propria exit strategy dal momento che il disegno di legge da me presentato a Palazzo Madama si era arenato in Commissione agricoltura ed era ormai prossimo lo scioglimento delle Camere per le elezioni. I lavori erano arrivati ad un punto morto perché il Ministero dell’Economia non esprimeva parere favorevole in assenza di dati precisi sull’entità di questo fenomeno e, quindi, dei riflessi sul gettito fiscale. Grazie però a una elaborazione dell’Università di Salerno, siamo riusciti a recuperare questo buco nero e oggi finalmente abbiamo un’unica norma di rango nazionale, accompagnata da un decreto ministeriale che definisce le linee guida e gli standard qualitativi.
È già stata applicata in alcune regioni? e in Puglia?
La Toscana, l’Emilia, l’Abruzzo e la Lombardia hanno già fatto proprio il decreto ministeriale. In altre regioni, come la Campania, la Sardegna e la mia Puglia, sono in itinere i relativi provvedimenti. Si tratta, va specificato, di provvedimenti regionali per i quali non è richiesto un lavoro legislativo laborioso, trattandosi di recepire meramente le linee guida nazionali riportate nel decreto ministeriale del 2019.
Produttore di rosato e scrittore, quali altre sorpresa ci riserva Senatore?
Alle passioni non si comanda. Ho “ritrovato” il vino e il suo universo di valori da assessore regionale, insieme al sapore dei ricordi della mia infanzia, alle giornate passate in campagna col nonno materno. La scelta di produrre rosato è un tributo alla memoria di mio nonno, ma anche alla identità del mio territorio, il Salento. Per quanto riguarda le sorprese, poi, non faccio spoiler…
Recentemente ha annunciato che potrebbe ritornare il concorso nazionale sui vini rosati, ci racconta?
Si tratta di continuare a sostenere un’iniziativa che tiene insieme passato e futuro, tradizione e innovazione. Il rosato in Puglia è identità, è storia. È la più bella e complessa sinestesia del nostro territorio, capace di coinvolgere vista, gusto e olfatto. Per questo ritengo sia necessario recuperare e rilanciare quella attenzione e quell’interesse del mercato che il Concorso nazionale sui vini rosati ci ha permesso di raggiungere.
Qual è la miglior comunicazione per questo bellissimo mondo?
Non è una risposta facile da dare. Certamente, da un lato occorre operare per garantire standard qualitativi e di offerta veramente all’altezza del patrimonio di storia e di valore che il vino in Italia esprime e che ci è stato consegnato. Dall’altro, occorre affascinare e suscitare curiosità verso i territori, i paesaggi, le cantine, attraverso un’adeguata comunicazione e gli strumenti più appropriati. Le chiavi di successo sono identità e autoctonie ma declinate con competenza e professionalità.