Ugo Alciati, chef dello stellato Guido, dà nuova vita alla Rocca di Arignano in provincia di Torino.
Ugo Alciati, chef stellato di Guido, 1 stella Michelin, prende in mano le sei camere e il ristorante della Rocca di Arignano e lo fa guidare dallo chef Fabio Sgrò. Ma non solo, nella rocca ci sono anche una scuola di cucina, uno spazio eventi, un’area benessere, un percorso sensoriale e un’opera d’arte dello scultore Arnaldo Pomodoro.
“Vogliamo che la Rocca torni a splendere, che diventi una destinazione e che si riappropri di quella vita che le è stata rubata secoli fa” raccontano Luca Veronelli ed Elsa Panini, i proprietari della Rocca di Arignano – lui erede di una famiglia imprenditoriale e consulente aziendale, lei biologa con la passione per la cucina.
La Rocca viene così aperta al pubblico dopo un importante lavoro di restauro a 20 km da Torino.
La filosofia di cucina è stata costruita dai due imprenditori, grazie a studi che arrivano fino all’epoca medievale da antichi ricettari. Il risultato è una proposta culinaria singolare: da un lato la storicità delle ricette e dall’altro la mano della cucina di Ugo Alciati. Lo abbiamo intervistato per capire le sfide da affrontare e la sua visione per il futuro della ristorazione post pandemia.
Che difficoltà ha trovato, a livello operativo, a prendere in mano una struttura abbandonata da 600 anni?
La parte più difficile, indubbiamente, è stata quella che ha riguardato la ristrutturazione, anche perché i nuovi proprietari, Elsa Panini e Luca Veronelli, hanno voluto mantenere le caratteristiche del luogo. Da parte nostra, invece, le difficoltà maggiori le abbiamo avute all’inizio, nella scelta della tipologia di cucina da proporre. Abbiamo chiuso il cerchio quando ci siamo documentati sulla cucina dell’epoca medievale e abbiamo deciso di costruire una filosofia contemporanea con dei richiami alle usanze del periodo, come l’assenza delle posate a tavola.
Quante consulenze ha in questo momento? Qual è il trucco per gestire tutto?
Nell’ultimo periodo ho deciso di ridurre le consulenze che avevo all’attivo, sia per la complicazione negli spostamenti sia per la difficoltà a trovare collaboratori di livello. Al momento, ho una collaborazione con lo Star Hotel di Parigi, da 5 anni, su tutta la parte gastronomica. Si tratta di una struttura di una certa caratura, con un ristorante di alta cucina che ha l’obiettivo di raggiungere la Stella Michelin. Avevo anche una consulenza a Cannes e una a Ginevra ma adesso è tutto fermo, in attesa dell’autunno. Il trucco per gestire tutto è correre tanto, anche perché l’impegno richiesto negli spostamenti non è indifferente. Le chiavi di volta sono la scelta di collaboratori di fiducia e l’utilizzo della tecnologia a distanza.
Tre pregi e difetti che si riconosce.
Sono testardo, maniaco per l’ordine e la pulizia e permaloso. I primi due attributi sono anche positivi, poiché nessuno mi può fermare nel raggiungimento dei miei obiettivi e perché, lavorando con questi criteri, si riesce a rendere meglio nel quotidiano.
Fabio Sgrò ha fatto diverse esperienze internazionali: la carta del menu è vicina al territorio o con molte incursioni asiatiche?
Nella carta della Locanda della Rocca ci sono entrambi gli aspetti: sia le incursioni personali di Fabio, che derivano dalle esperienze in giro per il mondo, che un forte legame con il territorio, poiché l’80% delle materie prime è locale o autoprodotto. Terzo tema ispiratore del menu è stata, come accennata, la ricettazione dell’epoca medievale. Uno degli esempi, che sarà protagonista più avanti in menu, è rappresentato da una salsa di pane nero abbinata alle carni, preparata da pane raffermo tostato, brodo di carne e spezie. Un altro spunto di quell’epoca, che noi abbiamo riproposto in alcuni piatti, è l’usanza di mangiare con le mani.
Quanto apporta a una struttura come questa fare eventi rispetto al semplice ristorante gastronomico? Ci può fornire una percentuale sul totale?
La percentuale potrebbe raggiungere cifre decisamente importanti anche se ora, avendo aperto da poco, non abbiamo cifre precise. Se il prossimo anno la stessa aumenterà, ritengo sarà fondamentale non creare contemporaneità tra il ristorante e gli eventi. Nello specifico, la Rocca si presta a ospitare eventi di media portata, in spazi straordinari come la Terrazza delle Feste.
Cosa è cambiato dopo la pandemia? Sta gestendo le cose in modo diverso? Ha cambiato i menu?
Con l’arrivo della pandemia siamo ritornati due passi indietro, verso le nostre origini. Abbiamo lavorato sulla ricerca delle materie prime, piuttosto che su nuove ricette. Da Guido Ristorante stiamo per ultimare la creazione di un piccolo gruppo di allevatori e produttori che realizzano prodotti esclusivi, in quantità e periodi limitati. Il progetto verrà presentato tra quest’autunno e il festeggiamento del 50° anno dell’insegna e si rifletterà anche nelle collaborazioni. Un’importanza non da poco, nello sviluppo dell’iniziativa, è stata ricoperta dall’ecosostenibilità, alla quale puntiamo in tutti gli aspetti anche nella quotidianità. Oggi, da Guido Ristorante, l’acqua servita è microfiltrata mentre l’elettricità diventerà interamente autoprodotta tra qualche anno. Nel frattempo, quella acquistata proviene da fonti rinnovabili.
Cosa pensa del delivery? È stato funzionale per le sue strutture?
Io penso che sia stato funzionale per dare un piccolo cenno di vita ai nostri clienti storici ma a livello economico, nei ristoranti fuori dalle grandi città, non porta vantaggi. La dispersione di tempo e di chilometri da percorrere è troppo grande. Nel nostro caso l’abbiamo fatto per il piacere di soddisfare i nostri clienti ma, se dovesse esserci una prossima chiusura, non lo riproporremo, anche perché il nostro tipo di cucina si presta poco alla consegna a domicilio.