La tendenza nella ristorazione della Capitale vive di continue contaminazioni ed è in costante movimento. Il fondatore della Laurenzi Consulting, manager “per vocazione”, sa cogliere le tracce di questo flusso incessante per infondere ai suoi progetti un gusto unico: cosmopolita e originale
di Mia Ricci
Camicia blu avio, fare sereno, idee chiare, una straordinaria capacità di analisi, un’intuitiva e lucida visione d’insieme che, al bisogno, sa istintivamente focalizzarsi sul singolo progetto.
Con i suoi pensieri determinati, Dario pare un uomo che si affaccia sul mondo da un grande balcone ma che, allo stesso tempo, sa tenere salda in sé la piacevolezza di starsene dentro casa, comodamente seduto sul suo divano di pregiata fattura nazionale, una qualità italiana che profondamente apprezza e che lui stesso sta pensando a come diffondere.
A chi ancora non conoscesse Dario Laurenzi basti la sola citazione di alcuni luoghi gastronomici romani di tendenza come “Gusto”, “Porto Fluviale”, “Baccano”, “La Zanzara”, “Ted” e da pochi giorni anche “Brylla”: destinazioni assai note nel panorama ristorativo capitolino. Locali iperfrequentati, locali in perfetto equilibrio tra stile e star bene, che hanno rivoluzionato il modo di concepire e fruire di uno spazio, che hanno dettato e gettato nuova luce sulle abitudini gourmet della Capitale e che assorbono, ben metabolizzandole, le tendenze di un mondo esterofilo, energico e variopinto, in continuo movimento e mutamento.
Fondatore della “Laurenzi Consulting”, società leader di consulenza nel settore Food&Beverage attiva dal 2004 sul territorio nazionale e internazionale, Dario oggi è un mediano infaticabile ma dai piedi buoni, una sorta di prezioso filtro tra il fuori e il dentro, tra l’estero e il nazionalissimo made in Italy.
Da sempre Dario nutre per la ristorazione una grande passione. Passione che deriva dal suo amore per il piatto, passa attraverso il piacere dell’ospitalità e raggiunge i confini più freddi e razionali propri del management: cuore e obiettivo che pulsano in un uomo che viaggia, osserva, capisce i meccanismi, intuisce le dinamiche e sa riformularle in base alle esigenze del singolo progetto.
Da giovanissimo lavora per una delle enoteche più prestigiose della Capitale: “Enoteca Costantini”.
È l’inizio, sono i primi timidi passi professionali nel settore dell’enogastronomia. La sua nuova vita comincia a prendere forma e sapore.
“Inizio un percorso di studi targato biologia e mi ritrovo da Costantini a scaricare camion e camion di merce, e neanche il sollievo di una birra a fine serata, perché io, ai tempi, ero pure astemio”.
Saranno state la sua sobrietà, la serietà, l’affidabilità, la precisione nel gestire carichi e merci, a far sì che Dario, come in un sogno americano, diventasse direttore. Il direttore di Costantini, uno tra i più noti Wine Bar ed enoteche della Capitale. Proprio lui. Lui che sarebbe dovuto rimanere a lavorare due mesi “fino a Natale” e si ritrova invece a vivere un Natale lungo nove anni.
“Partecipo alla creazione e direzione di Gusto a piazza Augusto Imperatore, un ambizioso progetto polifunzionale che comprende un ristorante, una pizzeria, un wine bar e un emporio. Un locale rivelazione per la città di Roma, capace di convogliare oltre mille persone al giorno, cambiando le abitudini dei romani”.
Nel 2003, quando il progetto si sdoppia con l’Osteria della Frezza, Dario Laurenzi diventa il general manager dell’intero gruppo Gusto.
Quali sono i fattori che hanno determinato la sua riuscita all’inizio?
L’esperienza sul campo: ideare e gestire un gruppo 1.300-1.400 persone al giorno, un giro di quasi 10 milioni di euro l’anno, 135 dipendenti, expertise importante.
Quando questa passione si è trasformata in lavoro?
Fondo la Laurenzi Consulting nel 2004, dopo Gusto e Frezza, dopo sei anni, incontro un’amica a New York. Conosciamo lì un consulente americano specializzato nel settore F&B. Prendo la palla al balzo e scelgo di intraprendere questo mestiere. Propongo un progetto all’Enoteca Regionale, mi presento da Andrea Urbani con un documento in cui racconto, rivoluzionandolo, un nuovo concetto di mescita, ristorazione legata, ogni mese, ad una provincia. Ne restano esntusiasti. Scelgono il progetto e nasce la Laurenzi Consulting.
Da dove prendi ispirazione per i tuoi format?
L’ importante è viaggiare ed allargare i propri orizzonti. E mettersi dalla parte del cliente. Bisogna immaginare quello che noi vorremmo. Così nasce un format: immaginando quello che manca. Per esempio “Fonzie”, da poco tempo alla sua terza apertura, è una scelta giusta. È la dimostrazione che “kosher” può esser un mondo grande e può arrivare anche nel fast food, piacendo non solo alla comunità ebraica di Roma a qualsiasi tipo di cliente.
Come aggiorni le tue idee?
Mondo e mercato. Un monitoraggio costante per vedere cosa succede ed analizzarne punti di forza e debolezza.
Una città che ti rispecchia particolarmente?
Londra. Perché io credo che sia la vera città in cui nascono le tendenze. Londra, ancor prima di New York, è la città che innesca la tendenza.
Qual è stata la situazione lavorativa più complessa che hai dovuto fronteggiare?
È stata in Albania. Un progetto dalle grandi pretese. E una sfida continua su tutti i fronti. Che parte dalla necessità di formare un gruppo di lavoro compatto e competente da ragazzi per la sala con pochissima professionalità, ed arriva fino alla difficoltà di doversi confrontare con una proprietà con le pretese di fare una copia de “La Pergola di Heinz Beck”. E nonostante tutto l’abbiamo fatto. Chef italiano, sommelier qualificato, staff di sala e cucina formati: in 6-8 mesi la macchina girava. Tanto che ancora oggi lavoriamo con l’Albania a nuovi progetti.
Qual è la dimensione lavorativa che ti ha maggiormente gratificato?
Gusto. Per filosofia, qualità e lavoro di equipe.
Come gestisci i tuoi rapporti con il cliente?
Li gestisco a livello epidermico, guardando in faccia le cose ma ascoltando sempre l’emotività del sogno. Mi piace lavorare con persone belle.
Quanto di quello che fai è rivolto ad accontentare il cliente? Ovvero quanto sei disposto a rinunciare al tuo stile per accontentare il cliente?
Il primo passo lo fa il cuore, il sentimento dietro l’idea. Poi segue l’approccio scientifico analitico e quello economico, ovvero analizzare se l’idea è buona e le sue possibilità di realizzazione; ma se il progetto, o la persona, non mi convincono, rinuncio.
Quali sono gli ingredienti fondamentali per la buona riuscita di un locale?
Ferma restando la qualità dell’offerta (che diamo per scontata) i tre perni sono: il marketing del prodotto, l’architettura, la comunicazione e la brand identity. Alla gente piace respirare atmosfere nuove, particolari e che facciano la differenza. Ma soprattutto alla gente piace andare in un posto per fare un’esperienza a 360°, non semplicemente per ordinare un piatto.
Riesci a svolgere tutto da solo o ti avvali di collaboratori?
Oggi, dopo 12 anni di attività, la Laurenzi è una grande squadra di professionisti. Questo perché credo fermamente nel lavoro di squadra ed ho coinvolto nel mio progetto tante figure, ormai quasi 20 persone, indispensabili nell’ideazione e nella realizzazione di un format: i project manager, che seguono l’interno percorso dalla A alla Z, coordinando i professionisti in campo, gli architetti, uno studio di grafica, la comunicazione e l’ufficio stampa, due chef, un barman e un sommelier. Quando prendiamo un lavoro lo analizziamo insieme da vicino, ne studiamo la fattibilità, procediamo con analisi di geomarketing, studiamo il target, la politica dei prezzi; sono sempre aperto a idee e suggerimenti.
Come vedi la realtà gastronomica/ristorativa romana comparata ad un mercato nazionale e internazionale?
Roma offre tanto, è una città viva che ha recentemente scoperto una grande energia nella realizzazione dei format, tuttavia per alcuni versi resta ancora approssimativa; facendo un paragone con Milano, quella è una città che propone un servizio più professionale, più attento, ma soprattutto più aperto all’idea di business e sviluppo. Milano crea un brand per farlo conoscere, crescere e replicare. Roma, ad oggi, è ancora molto legata al prodotto e non ha una visione di business lungimirante.
Cosa pensi delle nuove aperture romane, credi che questo nuovo fermento sia segno di cosa?
La ristorazione non è un rifugio, anzi è un“frigorifero mangia soldi”. Ma la ristorazione buona e bella si deve fare e si può fare. Anche se non è tutto oro quello che luccica. Come dicevo prima, Roma si sta sempre più adeguando a un modello di business della ristorazione. Sono sempre di più gli imprenditori che vengono da altri settori e vogliono fare impresa con il food & beverage. E questa esplosione della ristorazione è il segno anche di una necessità: quella del pubblico che cerca l’esperienza, mangiare fuori, diversificare secondo le proprie esigenze di gusto e portafoglio. Per questa clientela il vecchio ristorante con spaghetti e bistecca è un concetto poco attraente.
Quale ritieni essere il maggior freno per le nuove imprese di settore?
L’ostacolo sono gli imprenditori che sono pigri e vogliono avere la certezza di riprendere tutti i soldi in tempi brevi. In Italia non c’è più chi fa impresa, non c’è più chi scommette. La soluzione è il cambio generazionale, connesso alla capacità di aggiornarsi, interpretare le esigenze attuali e anticipare quelle future.
Quali sono i consigli che daresti a un giovane che vuole intraprendere questa strada considerando la situazione economico-sociale di oggi?
Gavetta e lavorare all’estero, perché apre la mente, fa scuola.