Risalente al VII secolo a.C., il Nerello Mascalese è un vitigno eroico molto diffuso nella zona dell’Etna. Un vero e proprio “Principe” che restituisce nel calice tutta la forza e l’unicità della Sicilia.
Rappresenta uno dei tanti vanti italiani ed uno degli infiniti vanti siciliani. Dopo il Nero d’Avola è il secondo vitigno più coltivato in Sicilia. Detto “Niuriddu mascalisi” in siciliano, il Nerello Mascalese è un vitigno che cresce prevalentemente sull’Etna, in provincia di Catania. Il nome Mascalese rimanda al suo luogo d’origine che è la Piana di Mascali, zona agricola tra il mare e l’Etna sita sul versante orientale del Vulcano.
Il territorio
Ad oggi la coltivazione del vitigno è presente in tutto il circondario etneo della suddetta provincia. Il territorio di eccellenza, tuttavia, rimane quello intorno ai comuni di Castiglione di Sicilia e di Randazzo, tra Rovittello, Solicchiata, Calderara, Passopisciaro e Linguaglossa: in quest’area, infatti, i suoi vigneti eroici hanno resistito all’epidemia della Fillossera e la conformazione dei suoli vulcanici, l’elevata altitudine (fino ai 1100 metri sul livello del mare) e la pratica di allevamento della vite, hanno reso molto resistente questo vitigno.
La sua presenza in Sicilia la si può riscontrare anche sulle colline e lungo le coste che si affacciano sullo Stretto di Messina e nella lingua di terra chiusa tra il Mar Tirreno e il Mar Ionio, dando vita alla DOC “Faro” il cui nome potrebbe derivare da Punta Faro, punta estrema dello Stretto di Messina, o dalla popolazione greca dei Pharii, colonizzatrice di gran parte delle colline messinesi. Non possiamo non citare in questo contesto, ad esempio, l’azienda Palari che produce una delle massime espressioni del Nerello Mascalese attraverso uno dei suoi vini di punta, “Faro”, che suggella in un sorso, territorio, qualità ed eleganza.

Nerello Mascalese: le origini
La storia del Nerello e le origini di questo vitigno possono essere fatte risalire al VII secolo a.C. con la colonizzazione greca delle coste del messinese e di quelle calabre dove in un primo momento i Greci diffusero il culto di Dioniso ed iniziarono la coltivazione del vitigno. La produzione del vino, successivamente, si estese nel catanese e nel messinese fino alle pendici dell’Etna. Alla caduta dell’Impero Romano, la coltivazione della vite e la produzione del vino non ebbero particolari slanci ed il territorio del Nerello Mascalese non era all’epoca conosciuto e famoso come lo è oggi.
Giungendo poi in età moderna, nel 1543 Carlo V concesse al vescovo Caracciolo l’elevazione della piana di Mascali a Contea: le terre di Mascali vennero pertanto concesse in usufrutto ai viticoltori, che contribuirono in maniera importante alla selezione di questa varietà. Tuttavia, solo alla fine del XX secolo si sono ottenuti gli interessanti risultati oggi noti: con un importante lavoro, realizzato soprattutto nel nuovo millennio, si è valorizzata la qualità del vitigno autoctono e sono state introdotte le denominazioni di origine.
Oggi, i vini ottenuti dalla vinificazione di questo vitigno sono tra quelli più apprezzati a livello internazionale e una data certamente da ricordare è quella del 1968 quando il Nerello Mascalese diventa la base per la denominazione DOC dell’Etna Rosso, di cui rappresenta almeno l’80%, mentre il restante 20% è dato dal vitigno Nerello Cappuccio.
Il Faro Doc
Il riconoscimento della Faro Doc risale al 1976 e prevede, secondo disciplinare, l’uso di uve Nerello Mascalese da un minimo del 45 al 60%, di Nerello Cappuccio dal 15 al 30%, di Nocera dal 5 al 10%. Ma cos’ha di speciale quest’uva
Iniziamo subito a rilevare che le sue versioni più prestigiose vanno sotto la denominazione Etna Doc e che il Nerello Mascalese è certamente uno dei vini rossi italiani più eleganti. Le diverse espressioni dell’uva, anche annuali, dipendono molto dalle condizioni climatiche, dal versante del vulcano Etna e dall’altitudine. Un’importante peculiarità di questo vitigno è la sua maturazione tardiva che nella zona dell’Etna, infatti, si svolge generalmente a metà ottobre: i grappoli che vengono raccolti sono solo i migliori, perché selezionati e baciati dal sole grazie ad una previa sfogliatura.

Andando invece ad analizzare il suo aspetto organolettico, occorre distinguere tra il Nerello Mascalese in purezza e quello vinificato in assenza di vinacce. Quello in purezza, ha un colore rosso carico, un rosso ciliegia tendente al granato e all’olfatto si presenta con eleganti profumi di piccoli frutti rossi e con sentori di liquirizia e spezie, mentre al palato è secco, finemente tannico, persistente e armonico.
Quello vinificato in assenza di vinacce, invece, è conosciuto come “Pesta in Botte”: questo particolare vino assume un colore rosso carico e intensi profumi di viola, di piccoli frutti rossi e spezie ed il suo gusto è pieno, caldo e asciutto ed inoltre, se coltivato su terreni vulcanici, si caratterizza da una decisa mineralità. Un vitigno autoctono il cui sorso lascia emergere tutta l’eleganza di una terra e la cui finezza lascia magicamente spiazzati.
Al di là dell’ennesima testimonianza della vastità e preziosità della produzione enologica italiana, degustare il Nerello Mascalese rappresenta un’esperienza territoriale realmente unica ed è come fare un tuffo in Sicilia tra pini, rocce, mare e sole che brucia la pelle, perché questi sono i suoi nobili sentori e a questa nobiltà possiamo dare anche un titolo, quello privilegiato ed incontrastato di “Principe” dell’Etna che tanto rappresenta i siciliani con tutta la loro forza, tradizione ed unicità.