Filippo La Mantia torna a Milano e apre il suo nuovo ristorante all’interno del Mercato Centrale. Noi lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare il nuovo progetto,
Filippo La Mantia, dopo aver aperto diversi ristoranti di lusso negli ultimi 18 anni, ritrova finalmente la sua vera essenza grazie al Mercato Centrale di Milano. La Mantia si definisce un cantastorie, personaggio tipico della Sicilia rurale, e oste, colui che ama nutrire e conversare con le persone, e ora questo ristorante è la sua occasione per poter raccontare il mercato moderno.
Cosa significa tornare a Milano per questo ristorante?
«Con il nuovo ristorante sono più vicino alla famiglia, ai miei figli, e alla figlia di Chiara, che la sento come mia: ora stiamo insieme al pomeriggio e alla sera mangiamo insieme. Finalmente li vivo, e sfrutto il tempo insieme, che prima di questo periodo non ho mai avuto. Anche se con Chiara ci siamo presi una pausa»
Quali sono i piatti che assaggeremo al Mercato Centrale?
«I piatti della tradizione, anche quelle di famiglia, ricette semplici quanto speciali: la caponata, l’arancina o il pesto di agrumi. E poi riprendo anche il delivery, che mi è stato particolarmente richiesto in questo periodo di assenza da Milano, mi appoggerò a Cosa Porto, molto affine al mondo degli chef».
Quindi un ristorante gourmet?
«Sì. ma non solo. Avrò anche un piccolo corner al primo piano del Mercato Centrale dove farò anche dello street food siciliano come arancine, pane e panelle e i cannoli, farciti al momento».
Dove sarà localizzato il ristorante?
«Sarà al primo piano, nella parte più appartata del Mercato Centrale per un totale di circa 150 metri quadri: vorrei ricreare un’atmosfera dove sentirsi a casa, e anche un po’ in partenza verso mete desiderabili, una sorta di lounge con poltrone e divani, uno stile che al Mercato ancora non c’è, per circa un’ottantina di sedute».
Hai in mente di aprire altri ristoranti?
«Milano è il progetto pilota, ma se il format funziona bene siamo d’accordo per aprire il ristorante anche in tutti gli altri Mercato Centrale d’Italia, a partire da Torino e da Roma».
Per quale motivo aveva chiuso il precedente ristorante?
«Rispondo con i numeri di gestione: consumavamo circa 120 mila euro anno di energia elettrica (e prima dell’aumento spropositato delle bollette), avevamo un milione e 200 mila euro di stipendi annuali, gestivamo da 40 a 60 dipendenti con i vari extra tra eventi e il brunch della domenica, in cui avevamo circa 350 coperti, senza calcolare l’affitto, di 31 mila euro per 2050 metri quadri su tre piani, che dovevano essere tutti presidiati dal personale. Fino a febbraio 2020 tutto questo era possibile perché facevamo mediamente 130 coperti a sera e il 2021 e 2022 dovevano rappresentare gli anni del consolidamento. Non avendo fondi, banche o soci alle spalle il fallimento era l’unica soluzione, con le gravi mancanze che ha portato la pandemia al mondo della ristorazione, ma – sottolinea – posso dire che ho pagato tutti gli stipendi e i TFR prima di chiudere i battenti».