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Marco Ambrosino: “la cucina è un gesto sociale”

Lo chef Marco Ambrosino, nella cucina di Sustanza, omaggia la tradizione della cucina napoletana.

Il ristorante si trova nella galleria Principe di Napoli, e l’ingresso avviene attraverso l’ottocentesco café chantant ScottoJonno. Il locale presenta sale in stile Liberty che favoriscono un’atmosfera di rievocazione storica. Mix tra passato e modernità: infatti la cucina propone i piatti complessi ed elaborati di Marco Ambrosino, che pescano nelle tradizioni e negli ingredienti di tutto il bacino mediterraneo e del nord Africa, usando fermentazioni e qualche cottura alla griglia.

Chef Marco Ambrosino

Lo chef campano di Procida, nato nel 1984, ha iniziato a soli 14 anni come lavapiatti nelle cucine dei ristoranti dell’isola. Nel 2011 inizia l’esperienza al di fuori dall’Italia. Al Noma di Copenhagen effettua uno stage di due mesi nell’estate del 2012, creando un mix tra l’anima italiana e l’approccio nordico. Dopo l’esperienza da Redzepi e due anni passati a Milano nel pastificio Buongusto passa al 28 Posti dove ha la libertà di portare avanti una sua linea di cucina, gestita con grande onestà e umiltà e nel 2022 il ritorno in Campania con l’avventura di Sustanza.

La cucina dello chef

Per Ambrosino «la cucina è un gesto sociale e un atto politico» e il suo obiettivo più grande è sensibilizzare il settore della ristorazione verso un radicale cambio di stile di vita. Il suo piatto simbolo storico è la Chiajozza, una preparazione che nasce dalla sua baia natale e i suoi prodotti: la canocchia cruda, il riccio di mare, il cavolo cappuccio e l’olio al pino marittimo. Tanto Sud, tanta Campania, tanto mare, e non solo il pesce, ma l’influenza del mare sui luoghi e sul lavoro delle persone. “Più che da un piatto, sono rappresentato dai prodotti a me vicini» confida lo chef.

Un ritorno a casa: cosa significa tornare in Campania dopo tanti anni a Milano? Quali sono le differenze
che hai notato subito, nel lavoro, nelle attitudini delle persone?

“Sono nato in Campania, ma non avevo mai lavorato a Napoli. Conosco decisamente bene la città e devo ammettere che negli ultimi 20 anni è cambiata molto. Trovo ci siano diverse novità nel panorama della ristorazione considerando la difficoltà che hanno le città con identità gastronomiche molto forti ad aprirsi ad un’offerta differente. Nel complesso trovo una Napoli sempre accogliente, vitale e propositiva”.

Quali sono i tuoi piatti signature e perché?

“Non credo di poter definire nessuno dei miei piatti come “signature”, ma più che altro ne considero alcuni dei portafortuna che mi accompagnano da anni. Si tratta di ricette che hanno segnato dei miei cambi di punto di vista o evoluzioni professionali. Spaghettini, acqua di pasta fermentata, miso di legumi, ad esempio, è un piatto che ha trasformato drasticamente il mio approccio al mondo della pasta. La fermentazione e i tempi necessari perché il processo si verifichi l’hanno spostata su di un piano differente. Chiajozza invece è un piatto nato dalla nostalgia di casa quando mi trovavo a Milano. Visto il suo valore per me, ho deciso di continuare a proporlo anche da Sustànza, in un territorio dove alla Chiajozza, la baia di Procida dove sono nato, ci si può arrivare più facilmente”.

Come si sta evolvendo la ristorazione napoletana? E campana?

“La ristorazione napoletana si sta evolvendo in maniera esponenziale nel rispetto e in sinergia con le mete gastronomiche storiche. Se da un lato la tradizione è, per fortuna, ancora viva e solida, dall’altro ci sono nuove realtà contemporanee che guardano al futuro. Trovo che sia un valore aggiunto a un panorama che vede il nuovo che si fa strada e lo storico che continua a risplendere. È un buon momento per vivere e godere della scena gastronomica campana”.

Sostenibilità: che significato ha per te questa parola e come la applichi nel tuo ristorante?

“La sostenibilità nella ristorazione è relativa, in quanto, in fin de conti, si tratta di un’attività superflua, non necessaria alla sopravvivenza. Detto questo, si possono però abbracciare delle buone pratiche. Si può ottimizzare l’impiego delle nuove leve e della materia prima selezionata. Uno chef, o una cheffe, e il suo ristorante sono ormai sempre di più realtà sotto i riflettori grazie alla stampa e ai social. Questa posizione privilegiata può essere sfruttata per diffondere buone pratiche e consapevolezza. Abbiamo delle conoscenze che possiamo mettere a disposizione del nostro pubblico e renderle replicabili nel quotidiano”.

Tre pregi e tre difetti dello chef

“Mi reputo una persona pigra, non particolarmente ordinata e professionalmente non mi affeziono ai piatti
che realizzo. Quest’ultimo aspetto è un difetto perché gli ospiti a volte tornano con il desiderio di riassaggiare
delle portate e si sorprendono di non ritrovarle, ma è anche un pregio. Il desiderio di ricercare il nuovo è infatti
fondamentale e definisce il nostro metodo lavoro. Fra i pregi, aggiungo anche l’essere curioso ed essere
estremamente relativista. Metto in discussione ciò che faccio e cerco di immedesimarmi nei panni e nei punti
di vista altrui”.

Cosa vorresti dire ai giovani che ti vedono come fonte di ispirazione?

“Spesso quando si cerca di imporre ai giovani un’idea la trovano respingente e si ottiene l’effetto contrario.
L’essere giovani significa essere ricettivi e pronti a sperimentare sulla propria pelle senza per forza essere
guidati. Se dovessi però dire loro qualcosa, mi focalizzerei sul concetto di non voler bruciare le tappe troppo
in fretta. Non si riesce e non si raggiungono gli obiettivi da un giorno all’altro. Nel nostro mondo non esistono
solo i riflettori, ma anche un gran lavoro e impegno dietro le quinte”.

Come ti vedi tra 5 anni? E tra 10?

“Mi auguro di mantenere la stessa curiosità di oggi. Non voglio trovarmi fra 10 anni a sfogliare con nostalgia
l’album dei ricordi di Marco Ambrosino, ma continuare ad aggiungere tasselli che stuzzichino la visione critica
di chi segue il lavoro che porto avanti”.

Info Utili

Sustanza

Galleria Principe di Napoli, 13

80135 Napoli NA

tel +39 081 379 5766

Sito

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