Uno chef brasiliano a Nettuno. Una taverna dedicata a Bacco, dove il vino celebrato da una parete-cantina con etichette da capogiro tra travi in legno e pietra viva. Il desiderio della Famiglia Villani è quello proporre un’esperienza enogastronomica libera e creativa per “ubriacarsi di tavola e di vita”. Complice un preziosa accoglienza e una sala al femminile, Vi raccontiamo la Taverna di Bacco e la cucina di Filipe Dos Santos.
Bisogna essere sempre ubriachi.
Tutto sta in questo: è l’unico problema.
Per non sentire l’orribile fardello del tempo. […]
Bisogna che vi ubriachiate senza tregua.
Ma di che? Di vino, di poesia o di virtù,
a piacer vostro. Ma ubriacatevi.
Così scriveva Charles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 – Parigi, 31 agosto 1867) nella poesia “ubriacatevi” dell’opera Lo spleen di Parigi (o Piccoli poemi in prosa), ovvero cinquanta inni alla vita eternati in riflessioni e lettere scritte fra il 1855 ed il 1864.
No, non siamo a Parigi. Siamo a Nettuno. E da La taverna di Bacco non si vede il mare. Ma lo sguardo arriva comunque lontano. Merito del sapore, che se ne va libero per le vie del mondo. Merito dell’estro del suo Chef, che scavalca muri e confini geografici facendo camminare insieme ingredienti che ancora non si conoscevano tra loro. Merito della sua vera e sorridente accoglienza, che ben predispone ad ubriacarsi dei piaceri della tavola.
In cucina c’è Filipe Dos Santos, classe ‘88, è nato in Brasile, a San Paolo, indiscussa capitale gastronomica del Brasile, universo culinario attraente, esotico e variopinto; crescendo lo hanno affascinato l’approccio netto, semplice e tagliente dell’Oriente; la voluttuosa cucina francese con le sue salse e tocchi sofisticati; ma la sua formazione è stata italiana e rigorosa, alla Corte di Alma Gualtiero Marchesi, Da Vittorio e con la grande famiglia Alajmo.
La collaborazione di Filipe Dos Santos con la Famiglia Villani, è contestuale all’apertura de La Taverna di Bacco. Una fulminante unione di intenti e di visioni enogastronomiche hanno permesso un sodalizio professionale che va efficacemente e creativamente avanti da otto anni.
Facciamo quindi un passo indietro. Anzi un passo all’ingresso. Siamo al civico 5 di Largo Luigi Trafelli, in pieno centro di Nettuno, in una zona pedonale di grande passaggio. Parcheggerete infatti nei paraggi e raggiungerete il “Bacco” a piedi. Il nome della taverna fa diretto riferimento al Dio romano dell’ebbrezza e dei misteri, della natura feconda e dell’agricoltura (Dioniso per i Greci), che avrebbe il merito di aver introdotto per primo il vino tra gli uomini.
Il longevo e antico nettare d’uva, così caro a vivi e gaudenti – nonchè da sempre ponte di contatto tra umano e divino – viene qui celebrato da una parete-cantina d’effetto con etichette da capogiro che arreda e caratterizza l’intima taverna aperta e riscoperta nel 2015 dai Villani con il desiderio di proporre a Nettuno vini e cucina di ricerca.
Travi e pietra a vista, poltroncine di velluto, un grande tavolo conviviale di legno massello, sette tavoli e, per scelta, un tetto massimo di 20 coperti a servizio. Oltre seicento le etichette in cantina e, in sala, uno staff di donne felici e competenti.
Assieme alla proprietaria Lucia Villani, classe ‘94, c’è infatti Francesca Catanzani, classe ‘93 (in foto di copertina assieme allo Chef). Amiche da sempre e cognate per destino, nel loro sorriso e nella loro ospitalità c’è il racconto di un’intesa umana fatta di affinità, passione lavorativa e voglia di condivisione.
Se pensavate al mare, dalle nostre vetrate si vede il centro cittadino, non abbiamo proposte tradizionali, ma piatti ricchi di visione e sostanza in parti uguali. Siamo costantemente alla ricerca del buono per renderlo anche bello, augurandoci possa essere d’aiuto per qualche ora di relax e buongusto, racconta Lucia.
Si accomoda in tavola così una cucina libera e contemporanea, che sperimenta senza la paura di farlo, che gioca con la frutta, con le acidità e le cosistenze, che vuole suscitare negli ospiti una sorpresa ricollocando ingredienti noti e materie prime rilette con personalità. E lo fa a partire dal gradito quanto insolito Aperitivo di Benevento fatto di Vermouth, scorza di limone e semi di finocchio e che arriva in un tumbler basso, sottile e raffinato, accompagnato da buon pane a lievitazione naturale e bottarga home made con un twist di lime. Se “chi ben comincia è a metà dell’opera”, siamo sulla strada giusta.
Si prosegue infatti a ritmo con gli amuse–bouche: Crocchetta di coda alla vaccinara; Anguilla, zucchine alla scapece e ciliegia; Pecorino, vongole e pomodoro: Bon-bon di personalità e gusto estetico giocano con le texture tra giochi sapidità e acidità.
La mia memoria è fitta di ricordi olfattivi – mi dice Filipe – in Brasile abbiamo una cucina trasversale, con tante influenze. Il ricordo della frutta succosa, della sua freschezza, quella magia che la fa essere dolce, altre volte acidula, non a caso oggi è onnipresente nei miei piatti.
Nel tempo ho imparato ad aprire le mie mappe mentali. Studiando, l’evoluzione è arrivata gradualmente, collaborando con i miei maestri, ma anche viaggiando. Non esiste l’abc degli abbinamenti per me, mi piace sperimentare.
Questa sperimentazione libera, di carattere e orientata al gusto, ben si ritrova nel bel repertorio di antipasti, nelle sapidità di terra e di mare che si incontrano nel piatto e si danno la mano: Carpaccio di tonno, peperoni e maionese alla mandorla; Gamberi rossi, brodo di prosciutto e melone; Cozze, pomodoro, vaniglia e pane carasau; Carpaccio di manzo, ricci, albicocca e fiori di zucca.
Nel girone dei Primi troviamo lo Spaghettone, alici, albicocca, zafferano, mandorle e aneto; in quello dei Secondi il Coniglio in porchetta, bottarga e finocchio; Gamberi, babaganoush, fagiolini e yogurt; poi l’ottimo Piccione con pesca, coca cola e peverada, una salsa veneta con fegatini di pollo, acciughe e pepe; piatti che confermano le primissime buone impressioni e il curioso estro dello chef brasiliano.
Metto una proteina al centro dell’idea e sperimento due o tre combinazioni intorno. Se è il caso di parlare di processo creativo, direi che il mio possa essere sintetizzato così.
Quando gli chiedo tra Alma – Gualtiero Marchesi, Da Vittorio e Alajmo, quale sia l’ insegnamento tratto da ogni esperienza che porta con sé, mi dice: “Nell’ordine, rigore, tradizione, impresa. Tutti loro mi hanno insegnato che significa restare in cucina per ore, concentrati su di un risultato che, prima o poi, arriverà.”
Nei calici: Champagne Perseval-Farge C. de Réserve; Chardonnay di Toscana IGT Al Poggio Castello di Ama 2022; Blauburgunder DOC Brunnenhof Mazzon Riserva 2019. Perfetti per brindare alle infinite strade della vita e della cucina.
4 chiacchiere con lo CHEF
Vista da fuori, come definiresti la “cucina italiana”? Quali sono le sue caratteristiche?
Io ne sono innamorato, è così varia, ogni regione propone una storia a sé e poi, in tutte queste storie trovi anche le mille contaminazioni che ci sono state nel tempo.
Una cucina fantasiosa, soprattutto al sud. Noi chef qui abbiamo la possibilità di fare un grande lavoro con i vegetali, ma non dimentico, per esempio, gli artigiani del settore latto-caseario.
Un Paese ricco che sa arricchire chi ha mani aperte, desiderose di prendere. Per poi restituire con rispetto, ma anche con un pizzico di creatività.
Quali sono i tratti comuni tra Italia e Brasile?
La fantasia, il calore. Non ho avuto difficoltà nell’approccio professionale ed umano.
Nel tuo percorso di ricerca e studio, qual è stato l’ingrediente-scoperta di questa stagione?
Mi piace molto giocare con i sapori, puntellare di spezie un piatto per il gusto di creare un sapore nuovo, ma sempre riconoscibile. È stata l’estate delle albicocche, mi ci sono davvero divertito.
Come si è evoluta nel tempo e qual è oggi l’obiettivo della tua cucina?
Per me un piatto deve avere pochi ingredienti, leggibili e sapori intensi. Ognuno di noi fa il proprio percorso, credo sia normale assimilare il più possibile per poi iniziare a sottrarre il superfluo.
Ho ancora tanta strada davanti, per fortuna, ma oggi mi sento sicuramente centrato e, devo dirlo, vengo lasciato libero di esprimermi da una proprietà che crede in me. Siamo una famiglia.
Largo Luigi Trafelli, 5
Nettuno (Roma)
+393669053795
Prezzo medio: 60 euro vini esclusi
Chiuso domenica, aperto solo la sera
(Per l’immagine di copertina e quelle nel testo senza menzione, date la colpa a Sara De Bellis)