Conversazione con il presidente Matteo Lunelli, senza dubbio il volto più noto del TrentoDoc, sull’oggi e il domani del vino italiano nel mondo
di Nerina Di Nunzio (@nerinadinunzio)
“Ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo, se vuoi possederlo davvero”(J.W. von Goethe)
Matteo Lunelli, classe 1974 e classe da vendere, illuminato dal suo sorriso cordiale e dallo sguardo fiero, sempre elegante nel suo completo di sartoria italiana, è il presidente di Cantine Ferrari dal 2011. Insieme ai suoi cugini Marcello, Camilla e Alessandro rappresenta la terza generazione al comando dell’azienda, nata nel 1902 dalla felice intuizione di Giulio Ferrari di diffondere lo Chardonnay in Italia e acquisita da Bruno Lunelli, all’epoca titolare di un’enoteca, nel 1952. Matteo Lunelli oggi realizza un sogno durato già 100 anni e dirige un impero che conta quasi 5 milioni di bottiglie prodotte l’anno. Il suo è il volto più conosciuto del Trentodoc anche all’estero e le Cantine Ferrari oggi sono diventate sinonimo d’eccellenza nella spumantistica italiana. La nostra intervista parte da qui.
Presidente, come un’azienda riesce ad incarnare all’estero la marca Italia e diventarne quasi un sinonimo? Qual è il segreto del vostro successo?
A noi piace dire che l’eccellenza è il risultato di tanti piccoli dettagli e grandi valori: passione, territorio, famiglia, una lunga tradizione di oltre 100 anni di storia. Sono tante le persone che lavorano alla realizzazione dei nostri vini e ognuna contribuisce con il suo know how e le sue capacità ad un risultato unico nel suo genere, somma di tecnica e tradizione. Siamo molto presenti all’estero e viaggiamo in continuazione per testimoniare il nostro personale impegno nell’andare a conoscere i paesi che ci apprezzano. Per esempio abbiamo una storia di successo nata tanti anni fa in Giappone, dove abbiamo puntato proprio sul grande amore che i giapponesi hanno per l’Italia.I nostri vini sono nei migliori ristoranti italiani di Tokyo e Kyoto e siamo orgogliosi di essere ambasciatori dell’”Arte di vivere italiana”, tanto da aver coniato questa espressione per raccontare il nostro stretto legame con lo stile di vita del nostro Paese. Uno stile di vita che i giapponesi ci riconoscono come grande pregio. Da anni siamo legati alla moda, alla cultura e al design italiani e Ferrari è stato il brindisi di tanti eventi internazionali in cui si celebrava l’eccellenza del Made in Italy.
Come si comunica il vino e in particolare le “bollicine”? Il Presidente è coinvolto nelle decisioni strategiche di comunicazione? C’è differenza nella comunicazione dei vostri vini in Italia e all’estero?
Sì, come presidente sono impegnato in prima persona nelle decisioni di marketing e comunicazione e ognuno di noi Lunelli è coinvolto nell’attività di relazioni esterne e pubbliche relazioni. Per noi uno dei modi più efficaci di comunicare il vino è quello di portare le persone a conoscere il nostro territorio. Riceviamo in cantina moltissimi ospiti, opinion leader, giornalisti, buyerinternazionali. Arrivare in Trentino e vedere le nostre maestose montagne è senz’altro l’inizio migliore per comprendere da vicino le caratteristiche del nostro prodotto. Ci piace comunicare il vino attraverso un racconto, lo storytelling è alla base della nostra filosofia di comunicazione: una storia di persone, di uomini e donne, del loro lavoro, della nostra natura e del nostro territorio.
Come si comunica invece il vino su Internet e negli eventi? Quanto sono importanti questi due “luoghi” della comunicazione per le Cantine Ferrari?
Per noi la presenza sul web è fondamentale e seguiamo direttamente quest’attività con risorse interne all’azienda. Io stesso sono presente on line con i miei account personali e consulto quotidianamente gli account aziendali.Anche sul web diamo tanta importanza al racconto del nostro territorio, scegliamo immagini coinvolgenti dei paesaggi trentini e parliamo di valori e persone.Gli eventi sono il fulcro della nostra comunicazione, perché vogliamo che Ferrari sia il brindisi di eventi prestigiosi. Ad esempio Expo Milano 2015 è stato per noi una grande occasione di comunicazione. Siamo orgogliosi di aver dato un piccolo contributo a questa grande sfida del Paese. 80 delegazioni di capi di Stato e di governo sono state accolte da un calice di Ferrari Trentodoc e ciò ha dato grande visibilità a livello internazionale. Anche Vinitaly è un momento molto importante per noi, dove, da sempre, abbiamo scelto di avere una presenza significativa e rilevante.
Parliamo di guide e comunicatori del vino. I vini italiani sono tanti e molti di essi ricevono ogni anno premi importanti, calcoliamo per esempio che in una guida (Gambero Rosso, Slow Food, Bibenda, Espresso) in media ci sono 18.000/20.000 vini e di questi 300/400 ricevono riconoscimenti. Perché il consumatore dovrebbe sapersi orientare? Qualcuno di questi editori è stato davvero d’aiuto per il mondo del vino italiano? Giornalisti, editori, la critica sanno aiutare il vino italiano oppure no? Per voi conta di più il pensiero dei critici americani ed esteri o di quelli italiani?
Le guide sono uno strumento in più per i consumatori; il vino italiano è estremamente complesso e abbiamo una varietà enorme. Il compito delle guide è quello di dare una direzione, anche se le guide sono tante e diverse e ciascuna ha la sua impostazione. Sono convinto che le guide abbiano un ruolo fondamentale nella promozione della cultura del vino di qualità e le considero un alleato prezioso per le aziende che perseguono la qualità. Blogger, comunicatori, magazine online, tutti i media che ruotanoattorno al mondo del vino sono positivi perché aiutano a creare un interesse. Nel mondo della critica per noi sono molto importanti gli anglosassoni perché parlano una lingua universale. Anche quello che si dice sul web ha molta importanza. Il web si sta democratizzando e ci sono tanti blogger e opinion leader competenti e con grande seguito.
Qualche nome?
Antonio Galloni di Vinous.com, Alder Yarrow di Vinography.com, Tom Stevenson e molti altri. Tornando alla tua domanda sui consumatori e sulla loro possibilità di orientarsi in questo mercato, in generale credo che la conoscenza del vino sia molto cresciuta e che il consumatore sia sempre più curioso e informato.All’estero per esempio il vino spumante un tempo veniva identificato come un vino dolce, come l’Asti, mentre oggi si conoscono le differenze tra Trentodoc, Franciacorta e Prosecco e, soprattutto, si prende in considerazione le bollicine italiane come valida alternativa allo Champagne. Molti anni fa gli unici vini rossi di eccellenza erano considerati Borgogna e Bordeaux, oggi invece c’è una maggiore apertura ai vini italiani. Per questo abbiamo collaborazioni con le istituzioni e siamo presenti nelle fiere.Abbiamo lavorato con soddisfazione con l’ICE per esempio, lavoriamo con le Ambasciate e come sai, siamo impegnati nella Fondazione Altagamma che riunisce dal 1992 le imprese dell’alta industria culturale e creativa italiana, riconosciute come ambasciatrici dello stile italiano nel mondo (tra i soci: Brunello Cucinelli, Artemide, Bulgari, Fendi… n.d.r.).L’“Arte di vivere italiana” è un progetto nel quale crediamo molto e attraverso il quale abbiamo deciso, come Gruppo, di premiare chi maggiormente si sia distinto nel mondo per accrescere e diffondere il bello, il buono e il ben fatto dell’Italia. Di recente abbiamo conferito il Premio Ferrari “Arte di vivere italiana” al Frankfurter Allgemeine Zeitung per lo speciale magazine dedicato a Expo Milano 2015 e più in generale al Belpaese.
Cosa imparano invece le aziende dai consumatori? Li ascoltano? Li conoscono? Voi di Cantine Ferrari ascoltate i vostri clienti?
Noi proviamo ad ascoltare i nostri clienti, cerchiamo di raccogliere i loro commenti e osservazioni, sia nel caso provengano da realtà importanti del mondo della ristorazione che da singoli consumatori. Prestiamo attenzione ai cambiamenti in termini di consumo, credo che un’azienda abbia il compito di farlo; d’altra parte però cerchiamo anche di non farci influenzare troppo da quelle che spesso si rivelano mode passeggere. La nostra strada è quella di perseguire la qualità, valorizzando il territorio e la tradizione della nostra azienda: questo è ciò che vogliamo trasmettere ai nostri consumatori.
Come ascoltate i vostri clienti?
Si, abbiamo un dialogo costante con loro sui social media e le possibilità di incontro che ci vengono offerte o che organizziamo di proposito.
Come definireste il vostro cliente o meglio il vostro tipo di pubblico?
All’estero il nostro pubblico è soprattutto femminile. Per esempio in Asia le donne amano il vino, amano l’Italia e sono molto sensibili alla cultura europea, dalla quale sono molto attratte. In Italia e in Europa il pubblico è più bilanciato tra uomini e donne. Bisogna dire però che spesso l’uomo ordina il vino per far piacere ad una donna.
Nella comunicazione del vino si parla sempre di story telling, di tradizioni, di storie di famiglia, ma perché aziende grandi come Cantine Ferrari hanno timore di parlare della loro dimensione industriale? Mi spiego meglio. Essere un’azienda grande, importante e strutturata sembra essere piuttosto qualcosa da nascondere che da mostrare. In realtà però le tecnologie e l’innovazione sono preziose leve di comunicazione. Perché, per esempio, non raccontare al mondo quali sono le macchine che state utilizzando, quali le pressatrici e le imbottigliatrici e tutto il resto? Non è un orgoglio essersi trasformati da cantina a industria?
Io non mi vergogno di essere cresciuto, però restiamo sempre dei contadini e questo non solo non lo vogliamo dimenticare, ma desideriamo comunicarlo a tutti per spiegare le nostre origini e la nostra eredità. Non c’è contraddizione a mio modo di vedere, siamo diventati una grande azienda anzi un grande gruppo, ma non siamo mai scesi a compromessi con la qualità. La dimensione ci aiuta molto ad avere le tecnologie più avanzate e ad investire per introdurre innovazione. Desidero ribadire però che nel vino non ci sono scorciatoie, non si può mai prescindere dalla materia prima, dal territorio e dal metodo. Non si può mai prescindere dalla qualità.Per noi quello che conta comunicare è l’emozione, il nostro territorio e la nostra storia. È vero, abbiamo molta tecnologia, oggi i nostri esperti vanno in vigna con l’iPad e utilizzano software cartografici, abbiamo per esempio il lusso delle centraline meteo che ci restituiscono dati in tempo reale su tutto il territorio trentino, ma tutto questo esiste solo a servizio della qualità.Come dice Massimo Bottura, le tecnologie contemporanee sono utili per far esprimere ancora meglio la nostra tradizione e per valorizzare la materia prima. Per noi innovazione vuol dire anche cura dell’ambiente e agricoltura sostenibile, utilizziamo trattamenti sulla pianta che evitano la dispersione sul terreno e facciamo solo agricoltura biologica. Le Cantine Ferrari, insieme alle Tenute Lunelli, hanno infatti ottenuto la certificazione “Biodiversity Friend” dalla World Biodiversity Association.Però nella nostra azienda sono le persone che fanno la differenza. Alcuni hanno fatto trenta vendemmie e sono le loro scelte quelle che contano davvero, la loro sensibilità. Il vino è il prodotto della natura e delle scelte dell’uomo, che oggi sono aiutate dalla tecnologia; senza l’esperienza e la conoscenza però la tecnologia non serve a molto.
Bene allora parliamo strettamente di vino. Quando Matteo Lunelli si reca al ristorante beve i vini degli altri produttori o ordina soltanto i suoi? Come valutate la concorrenza? Quali sono le aziende che considerate vostre concorrenti? Guardate anche come si comportano all’estero?
Quando vado al ristorante e ho degli ospiti ovviamente ordino i nostri vini, ma da amante del vino – se sono a cena fuori per motivi personali – mi piace molto assaggiare anche quelli degli altri. Una altra cosa che faccio molto volentieri sono gli scambi di bottiglie con altri produttori e sono molto fortunato, perché i miei amici producono vini strepitosi! Nella famiglia Lunelli c’era poi una bellissima tradizione, che si ripeteva a Natale a casa di mia nonna, quella di aprire bottiglie di vino provenienti da tutto il mondo e di condividere i nostri pareri. In azienda invece, per studiare la concorrenza organizziamo degustazioni comparate per confrontare le nostre bollicine con quelle di altri territori. Per me conta molto parlare di “differenze” per capire che sono proprio le caratteristiche precipue di un vino a renderlo unico e non migliore o peggiore di un altro. Questo è molto importante nel mondo delle “bollicine”, ma vale anche per quello dei vini fermi. Le differenze sono dettate dal territorio, dallo stile e dal metodo. Noi ci vantiamo molto della nostra viticoltura di montagna, le montagne sono il simbolo del Trentino e il loro terreno minerale, la loro posizione e le loro risorse idriche rappresentano l’essenza dei nostri vini. Della concorrenza guardiamo molto anche il modo di comunicare, di scegliere le etichette, il posizionamento e il packaging.
Parliamo ora della grande distribuzione: se il vino è cultura e deve essere raccontato e spiegato, invitando le persone in cantina e sul territorio ed entrando in contatto diretto con i consumatori, ascoltandoli e relazionandosi con loro, è giusto venderlo nella GDO, dove si confonde con molti altri prodotti e dove nessuno lo può spiegare?
Il vino è senz’altro cultura, perché c’è molto che sta intorno ad un bicchiere di vino: c’è il genius loci di quel territorio, c’è la storia di quei contadini e di quelle terre, ci sono le tradizioni, ma tutto questo non è incompatibile con la Grande Distribuzione Organizzata, perché la GDO è un servizio e una leva distributiva importantissima. La GDO ti permette di raggiungere tanti clienti e tanti appassionati di vino che sono in diverse zone del Paese. Questo vale soprattutto per l’Italia, dove bere vino fa parte della nostra cultura. Nonostante questo consideriamo fondamentale il ruolo dell’HORECA e delle enoteche, dove il vino può essere presentato e maggiormente raccontato. Ritengo che un canale non nega l’altro, per una grande azienda è obbligatorio essere presente anche nella grande distribuzione.
Che differenza c’è tra una bottiglia di Giulio Ferrari e la prima referenza Ferrari in GDO? Vorrei una spiegazione molto chiara e spicciola, come se dovessimo parlare a chi non conosce nulla di vino e sta solo cercando una bottiglia da stappare per un brindisi importante.
Se parliamo di Giulio Ferrari e Ferrari Brut, la prima cosa da dire è che stiamo parlando comunque di due vini d’eccellenza. Pernoi non esiste un Ferrari di secondo livello, ma due anni di affinamento contro dieci e la provenienza delle uve da un singolo vigneto, come nel caso del Giulio Ferrari e la sua produzione di limitata, rendono le due bottiglie molto differenti. Sono entrambi vini TrentoDoc, provengono entrambi dalle Cantine Ferrari però Giulio Ferrari è una rarità. In realtà la nostra vera sfida è quella di fare vini di grande qualità proprio nei vini non millesimati. Aspiriamo ad essere i migliori in questo ed è su questo che misuriamo il nostro lavoro. Quando una persona apre una bottiglia per un’occasione importante deve essere gratificata. Questi sono i momenti che diventano ricordi, per sempre. Non trovi?
Quanto è importante l’abbinamento vino-cibo nel mondo delle bollicine? Le bollicine vengono quasi sempre aperte solo nelle occasioni speciali, infatti il mondo dei produttori non ha fatto altro, in questi ultimi anni, che tentare di proporre le bollicine a tutto pasto e di aumentarele occasioni di consumo. Quali sono gli abbinamenti migliori tra bollicine e cibo? Ci sono delle regole?
Noi produttori di Trentodoc abbiamo un vino estremamente flessibile e molto facile da abbinare al cibo. In parte ci sono delle regole, ma ritengo che si debba puntare anche ad abbinamenti creativi. Le bollicine sono perfette con i salumi, con tutti i fritti, con le paste e i risotti.La nostra proposta presso la Locanda Margon, ristorante delle Cantine Ferrari capitanato dallo chef Alfio Ghezzi, è però quella di uscire dagli abbinamenti standard. Recentemente ho assaggiato un agnello alla camomilla buonissimo e l’ho trovato perfetto in abbinamento con un nostro rosè. Un altro piatto di Ghezzi che posso citareè il riso al timo e mele con trentingrana, perfetto con il timbro dello chardonnay del Trentino. In aeroporto, nei nostri Ferrari Spazio Bollicine, lo proponiamo in abbinamento ai grandi salumi italiani, alla battuta di Fassona o a una semplice caprese, ma i nostri vini sono perfetti anche con le cucine degli altri Paesi, come quella giapponese per esempio, dove lo possiamo abbinare con il sushi, il sashimi, l’antica cucina kaiseki e soprattutto la tempura.
Una domanda di colore: all’estero ancora vi confondono e vi sovrappongono al marchio Ferrari? Voi giocate in qualche modo con questo fraintendimento?
Non è assolutamente nostra intenzione creare confusione, anzi ogni giorno sottolineiamo la nostra identità ben distinta, usando per esempio l’estensione TrentoDoc, cioè Ferrari TrentoDoc. Siamo due marchi dell’eccellenza italiana e ci piace questo accostamento, ovviamente. Per distinguerci Enzo Ferrari usava dire che loro sono la Ferrari e noi il Ferrari e questo mi diverte e mi rende orgoglioso. In occasione del nostro 90° anniversario abbiamo anche ricevuto una sua lettera, che conserviamo gelosamente, dove ci raccontava il suo primo incontro con il nostro vino.
Visto il successo delle cucine etniche e delle bevande alternative a quelle alcoliche, come le bevande salutistiche, le centrifughe, gli estratti, le tisane e gli infusi,i soft drink ipocalorici con pochi zuccheri e dell’abbinamento ben riuscito tra loro, il vino è in pericolo? La birra artigianale ha futuro o è solo una moda?
Non credo esista alcuna minaccia, anzi oggi il vino è alternativo a tante altre bevande meno salutari, per esempio alla vodka in Russia e ad altri super alcolici che sono di solito consumati in India. Il vino è stato molto riconsiderato anche dalla medicina e dai nutrizionisti, oggi attraverso la qualità dei nostri prodotti e la conoscenza dei mercati emergenti abbiamo la chance di esportare la marca Italia in tutto il mondo. La birra artigianale è la benvenuta ma è diversa dal vino, le materie prime sono diverse, i requisiti di partenza e il processo di produzione sono molto diversi.
Allora pizza e birra o pizza e bollicine?
Assolutamente pizza e bollicine, per esempio per me l’abbinamento perfetto è la pizza margherita napoletana e il nostro rosé. Ci sono pizze oggi con ingredienti di altissima qualità, molto più digeribili e molto più vicine a un piatto gourmet che ad una pizza. Il nostro Alfio Ghezzi è molto bravo anchein questo, tanto da avermi convinto che un grande Chef deve essere in grado di fare anche un’ottima pizza.
Con Matteo Lunelli abbiamo proseguito a parlare di tanti progetti e di idee per il futuro, dove le Cantine Ferrari tengono soprattutto conto dell’ambiente e dell’esigenza di tenere sempre alto il valore di essere italiani. Le Cantine Ferrari sono da poco diventate brindisi ufficiale di Alitalia e hanno ricevuto riconoscimenti internazionali che confermano il loro impegno nella ricerca costante della qualità. La Famiglia Lunelli è stata premiata nel 2016 come “Wine Family of the Year” al Meininger Award “Excellence in Wine & Spirit” e le Cantine Ferrari hanno ricevuto a New York il riconoscimento di “Cantina Europea dell’Anno” ai Wine Stars Awards. L’intervista è durata diverse ore, tra incontri e telefonate e Matteo Lunelli, nonostante fosse in perenne viaggio, è stato sempre molto disponibile, come mai mi era capitato in occasioni analoghe. Grazie Presidente e buon lavoro!
FERRARI, LE BOLLICINE ITALIANE PER ECCELLENZA
Fondata nel 1902, quando Trento era una provincia dell’Impero austro ungarico, la Ferrari ha mantenuto una fisionomia di azienda familiare e fa completamente capo alla famiglia Lunelli, discendente di quel Bruno che nel 1952 aveva acquisito dal fondatore, Giulio Ferrari, un coriandolo di cantina, neppure diecimila bottiglie l’anno.
L’eccellenza è da sempre il principio ispiratore di ogni scelta in casa Ferrari. Eccellenza che implica fedeltà al Metodo Classico quale unico processo produttivo e al Trentino, con la sua straordinaria viticoltura di montagna, quale territorio d’elezione per i propri vigneti. Tutta l’uva destinata a trasformarsi in Ferrari, Chardonnay e Pinot Nero, proviene infatti dalle pendici dei monti del Trentino, ed è coltivata rispettando il disciplinare Trentodoc e rigidi protocolli aziendali volti a garantire la sostenibilità.
La ricerca dell’eccellenza senza compromessi ha portato il Ferrari ad ottenere una serie impareggiabile di riconoscimenti a livello internazionale, come il “World Class Sparkling Wine” di Wine Spectator. Leader in Italia, Ferrari esporta i suoi Trentodoc in oltre 50 paesi. Giappone, Germania e Stati Uniti sono i mercati più rilevanti di un export in continua ascesa.
Lo stile Ferrari si declina in dodici Trentodoc: dalle linee Classica e Maximum, quest’ultima dedicata alla ristorazione, ai millesimati della linea Perlé, fino alle riserve, il Ferrari Riserva Lunelli, il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore, un cru che matura ben 10 anni e il Giulio Ferrari Collezione, che sfida il tempo con i suoi 16 anni di affinamento.