E più è ricco, più è calorico, più la memoria ne scolpisce il ricordo e la conoscenza nel cervello. Anche nel caso di pazienti affetti da malattie neurologiche e cognitive come l’Alzheimer
Una bella mangiata non si scorda mai. E infatti non la si dimentica affatto, e in particolare non si dimentica affatto il cibo, che più è ricco, più è energetico, più è nutriente, più è calorico e più ci si ricorda del suo nome e delle sensazioni che ci ha provocato. E questo vale anche per pazienti con gravi problemi neurologici o affetti da Alzheimer o da afasia primaria progressiva.
Lo afferma uno studio effettuato dai ricercatori della SISSA, la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, in collaborazione con il Policlinico Gemelli di Roma, pubblicato sulla rivista Brain and Cognition.
Un buon piatto, una ricetta prelibata, un’ottima combinazione di ingredienti incide dunque particolarmente sulla memoria. La conoscenza lessicale e semantica collegata al cibo, infatti, «viene relativamente preservata anche in quelle patologie che portano a un calo generalizzato delle facoltà cognitive. Sarà forse perché è lo stimolo causato è così cruciale per la nostra sopravvivenza» afferma la coordinatrice del gruppo di ricerca Raffaella Rumiati.
Il test si è concentrato particolarmente su un gruppo di pazienti affetti da disturbi neurologici, per rilevarne la capacità di categorizzare e quindi immagazzinare nel cervello il ricordo del cibo. Le prove consistevano, per esempio, nel nominare diversi alimenti che venivano loro mostrati in foto oppure menzionati attraverso una descrizione organolettica, o anche di riconoscere quali degli oggetti messi davanti ai loro occhi fossero commestibili e quali no.
Il risultato prodotto è che quella del cibo è la conoscenza che tende a preservarsi meglio fra tutte. E che il ricordo di essa è tanto più resistente quanto più il cibo viene percepito dal soggetto come altamente calorico, tanto che la memoria del nome di un cibo particolarmente ricco bei pazienti affetti da PPA permaneva anche quando era ormai svanita per cibi invece più poveri.
«Non è difficile – spiega la d.ssa Rumiati – intuire come la pressione evolutiva possa aver spinto verso una maggior robustezza dei processi cognitivi legati al pronto riconoscimento di uno stimolo che forse è il più importante per la nostra esistenza». E dunque «più il cibo è nutriente, più è importante riconoscerlo». E in effetti «i nomi degli alimenti più calorici sono poi quelli che vengono acquisiti per primi nel corso della vita».
L’indagine risulta di particolare utilità anche per la comprensione del modo in cui il cervello organizza le proprie conoscenze.