Solo il 5% dei nostri prodotti finiscono nei mercati internazionali: lo dice uno studio della Cia – Agricoltori Italiani. L’export tricolore vale 37 miliardi di euro ma ha un potenziale di quasi il doppio. E all’estero non mancano certo domanda e apprezzamento. Scanavino: «A forza di parlare di “km zero” stiamo relegando le nostre eccellenze alla vendita nei mercatini rionali»
Gli stranieri amano alla follia l nostri prodotti ma ne conoscono non più del 5%. Lo dice il report della Cia – Agricoltori Italiani che anche a seguito dei dati registrati sta promuovendo un piano di internazionalizzazione in partnership con Ice, Gambero Rosso International, Centro Studi Anticontraffazione e Studio Valdani e Vicari.
Ma spieghiamo meglio, e con qualche esempio: l’Italia produce ben 523 vini a denominazione d’origine, ma i consumatori mondiali possono reperirne sul mercato meno di una dozzina: gli altri infatti non finiscono negli scaffali dei loro negozi.
E ancora, se trovano alcuni “must” dell’agroalimentare tricolore come l’Aceto balsamico di Modena, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano, i Prosciutti di Parma e San Daniele, il Pecorino romano e il Gorgonzola, ignorano completamente l’esistenza del Caciocavallo Silano, del Fagiolo di Sarconi o del Riso vialone nano del Veronese tanto per citarne qualcuno.
Conclusione: a fronte di una produzione nazionale che vanta oltre 5.847 tra cibi tradizionali e denominazioni di origine, il Bel Paese porta sulle tavole oltreconfine non più di 200 “veri” prodotti del Made in Italy.
Insomma, se pure la “reputation” del Made in Italy all’estero è ottima per la stragrande maggioranza, la cifra mossa dall’export è di “soli” 37 miliardi di euro rispetto a un potenziale di almeno 70 miliardi. In sostanza, un paniere molto limitato di prodotti copre oltre il 90% del fatturato complessivo.
E pur con il presupposto che le produzioni italiane sono percepite da ben 4 stranieri su 10 di qualità superiore a quelle locali e con una domanda fortissima (l 43% degli statunitensi chiede più Made in Italy nei supermercati e ben il 74% dichiara di essere disposto a riconoscere un prezzo maggiorato sui prodotti, a patto che siano 100% italiani), lo Stivale non ottimizza affatto le proprie rendite.
«Ho il timore che a forza di parlare solo di “km zero” stiamo relegando le nostre produzioni di eccellenza alla vendita nei mercatini rionali, che complessivamente generano un fatturato inferiore al miliardo e mezzo di euro ma che di contro bloccano un potenziale da almeno 70 miliardi di euro in export» è l’allarme lanciato dal presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino, che denuncia quindi una strategia assai poco funzionale per aggredire i mercati stranieri.
E proprio da questo origina anche il fenomeno dei “falsi Made in Italy”, che ha trovato campo libero sui mercati internazionali. E il cui business, tradotto in cifre, muove 60 miliardi di euro ogni anno. «Un fatturato totalmente scippato a chi ha costruito nei secoli sul campo, attraverso qualità e sapienza, l’immagine vincente del cibo italiano nel mondo: agricoltori e artigiani» conclude Scanavino.