Nel cuore di Roma, Davide Pulejo porta la sua idea di cucina fine dining, puntando all’eccellenza.
Solidità e visione strategica oltre il piatto, passione e ambizione, spirito di sacrificio che parte da una lunga gavetta: sono queste le parole d’ordine di Davide Pulejo, quelle vincenti come dimostra il successo ottenuto nel suo salotto gastronomico in Via Dei Gracchi a Roma, che ha ricevuto 1 stella Michelin dopo pochi mesi dall’apertura. Creativo ma con i piedi per terra, Davide trasmette vivo entusiasmo e con il suo team punta sempre più in alto.
Da Pulejo Ristorante, i suoi due menu degustazione si riassumono nella poetica del giorno, due momenti in cui la luce da il meglio di se: quello dell’Albore e quello del Crepuscolo. Così in Albore condivide quelli che sono stati i suoi primi appuntamenti con il cliente tra Milano e Roma e che nel momento del Crepuscolo invitano ad esplorare e indagare la bellezza del cambiamento che porta con se l’inaspettato, il rinnovamento accanto a nuove consapevolezze perché con le sue parole “non siamo mai gli stessi che eravamo ieri”.
Cambiamento che però si misura sempre con i sapori del suo DNA: la sua vuole essere sempre una cucina democratica e centrata, senza eccessivi esercizi di stile.
La costruzione di un piatto, per Davide è una composizione di ricordi e sapori perfettamente riuscita anche dal punto di vista visivo, senso quest’ultimo, più pronunciato nelle portate che compongono Crepuscolo. C’è tutto questo ad esempio in Cannolicchi e gremolada: i cannolicchi sembrano ricamare il piatto, in un gioco di tessitura in cui da ultimo si unisce la gremolada. Con questa salsa sbirciamo nel passato di Davide che ha lasciato metà del suo cuore a Milano come testimonia soprattutto il suo risotto Mi-Ro. Ogni piatto al palato evoca sinuose sapidità, che salgono di intensità lungo il percorso: tutte in perfetto equilibrio, si sposano perfettamente anche quando è più difficile come per Le tagliatelle ricci ricci di castagne, ricci di mare e acqua koji.
C’è qualcosa che abbia particolarmente contribuito a definire il “Davide di oggi” e i suoi piatti?
“Sicuramente ha contribuito tanta gavetta e la fortuna di lavorare con grandi della ristorazione internazionale. Ho imparato presto il valore del sacrificio: non tanto quello di vivere lontano da casa perché il mio lavoro mi ha portato spesso lontano da Roma ma quello di dedicare tutto il mio tempo allo studio e alla ricerca per raggiungere buoni risultati.
Fondamentale si è rivelato il rispetto degli altri e il loro ruolo e poi l’impegno unito a una visione strategica. Chi lavora in cucina non è diverso da chi fa altri lavori: il sacrificio è qualcosa che riguarda e accompagna inevitabilmente tutti quelli che vogliono realizzare un progetto importante. Non ci sono alternative.”
Uno dei tuoi signature è il Peperone come manzo, davvero interessante per il richiamo a una tartare bovina. Ci spieghi come arrivi a questo?
“Attraverso un processo di ossidazione e idratazione che avviene più volte durante la settimana. Questo processo elimina il sapore forte del peperone, lo sfibra e lo rompe nella sua struttura donandogli una consistenza e un colore che somiglia alla carne. Si tratta di un piatto tecnico ma gli ingrediente sono gli stessi che si utilizzano normalmente per la tartare: tuorlo, acciuga, cappero, origano, parmigiano. Accanto una focaccetta alla rucola che vuole ricordare gli straccetti con parmigiano e rucola. È uno di quei piatti che mi accompagnano, fanno parte della mia storia, come Mi-Ro, il risotto allo zafferano, coda alla vaccinara e salsa al cacao. Volutamente il nome è quello di una tratta di un treno, non solo in omaggio alle città cui sono più legato – Milano che mi ha adottato per un certo periodo e Roma dove sono nato – ma anche perché è un piatto che porto con me,“non si ferma” e non si arrende al tempo che passa.
Molto riusciti a mio parere sono anche la Lumaca di mare, bourguignonne, alga dulse, patata e caviale e Candele di cinghiale in dolceforte, mela cotogna e pinoli.
Ad ogni modo, tutti i piatti hanno volutamente qualcosa in comune: gusto e stagionalità della materia prima sono il fil rouge che lega ogni piatto.”
Cosa ci dobbiamo aspettare dal nuovo anno 2025?
“In questo momento stiamo lavorando sul progetto che riguarda il rinnovamento degli interni del ristorante.
Penso che l’atmosfera possa aiutare il Cliente a comprendere il pensiero dietro la mia idea di cucina, è un primo approccio all’ intenzione ambiziosa di trasmettere calore, accoglienza e maturità stilistica.
Seguirà i lavori l’architetto Raffaella Delli Carri, i materiali predominanti saranno il marmo di Orosei e il travertino. La luce sarà sempre protagonista attraverso la progettazione di illuminazioni dall’alto e anche i tavoli in legno e le sedute saranno appositamente realizzate per noi.
Inoltre, il servizio di sala, sempre attento ad offrire qualcosa di diverso, sta ora affinando la capacità di divulgare le intenzioni e la filosofia della cucina per guidare e accompagnare al meglio gli ospiti lungo la degustazione. Puntiamo all’eccellenza.”