Ci comporteremo diversamente o torneremo alla normalità? Cambieranno le nostre abitudini sociali? E al ristorante? Facciamo un po’ di chiarezza
Cambieremo, questo è certo. Dopo il Coronavirus nulla sarà come prima. Secondo un recente articolo di Milano Finanza non ritorneremo più alla normalità. Secondo le analisi di Gordon Lichfield, direttore di MIT Technology Review (il magazine della prestigiosa università americana dedicato ai cambiamenti nella vita personale e nel mondo del business), anche alla fine di questa pandemia, non saremo più gli stessi.
La distanza sociale aumenterà, frutto di tanta seria reclusione. Come si misura? I ricercatori la definiscono così: “Tutte le famiglie riducono del 75% i contatti al di fuori della famiglia, della scuola o del posto di lavoro“. Significa che ognuno fa tutto il possibile per ridurre al minimo i contatti sociali e, nel complesso, il numero di contatti diminuisce del 75%. Un modus vivendi che secondo le analisi potrebbe durare fino a quando non sarà disponibile un vaccino, il che richiederà almeno 18 mesi (se funziona).
Non sono certo convinta che gli italiani rimarranno così scottati, che non andranno più al ristorante, non divideranno lo stesso piatto o non berranno dallo stesso bicchiere. Forse solo ai primi tempi quando, appena usciti alla luce del sole o rintanati nella nostra solita trattoria preferita, quella che non vedevamo da mesi, ci chiederemo se davvero sta accadendo.
Sì, ora si può. E non vediamo l’ora di abbracciare tutti, anche i conoscenti o chi si è appena incontrato. Non vediamo l’ora di sederci all’angolo di un bar aspettando che uno sconosciuto ci corteggi. Non vediamo l’ora di organizzare una tavolata invitando tutto l’ufficio o una rimpatriata tra compagni di classe. Questa forzata astinenza da contatti umani ci porterà sono ad aspirarne una abbuffata, forse solo con qualche settimana di reticenza iniziale, si sa, gli esseri umani sono estremamente abitudinari.
Secondo una recente intervista su l’Economia del Corriere a Mauro Ferraresi, professore di sociologia della comunicazione all’Università Iulm di Milano, il tempo del coronavirus produrrà un tempo di riadattamento – una volta superato il picco – di almeno cinque volte tanto. Per fare un esempio pratico: se avremo tre mesi di lockdown, bisognerà moltiplicare quel tempo per cinque volte per poter ottenere una stima di quando la situazione tornerà (il più possibile) come prima.
Per quanto riguarda la ristorazione, alla riapertura dei locali (presumibilmente a fine maggio) viene ipotizzato un limitato numero di clienti, magari mantenendo una distanza maggiore tra i tavoli o sul bancone, e le file per entrare dovranno essere ordinate, e ben distanziate, proprio come accade ora per entrare al supermercato o in farmacia.
Niente più bistrot parigini dove toccarsi con i gomiti quando si porta la forchetta alla bocca? Niente più trattorie dove sporcare se stessi e i vicini con il sugo? Non credo proprio che ciò sarà possibile, il nostro dna è scritto persino nella memoria cellulare. Dire a un italiano che deve mantenere per sempre le distanze in pubblico equivale ad ucciderlo. Come impedirgli di gesticolare o di toccare un’altra persona con cui è in confidenza, o di cercare il contatto visivo e fisico. Non so quando ma ci riprenderemo e torneremo a tessere relazioni fatti di strette di mano, pacche sulla schiena e carezze sui capelli.