Non è un croissant e non è un cornetto all’italiana. Tra sfoglia e brioche, il maestro panificatore Alessandro Slama ci svela l’anima del cornetto ischitano.
Ischia è la più grande delle isole del Golfo di Napoli. Il mare, i monti, le terme, i vigneti, ovviamente il cibo. Gastronomicamente parlando, tanto è di matrice partenopea, ma sui dettagli l’isola mantiene il punto. Per esempio sul cornetto della prima colazione. Rituale mattutino per chi è del posto, icona golosa per i “villeggianti” che lo ricevono in dote. Il cornetto ischitano è diverso dagli altri. Non è un croissant come comandano i francesi. E non è quello “all’italiana” della vicinissima Napoli, città che, come una diva, fa ombra sulle realtà limitrofe, ma sul cornetto no. Gli isolani sono irremovibili, “l’abbiamo inventato noi.”
Sul dolce argomento, obbligatorio citare lo storico Bar Calise, dove furono sfornati i primi prototipi di cornetto ischitano. A proposito di pasticceria, molto di quello che si assaggia sull’isola viaggia sulla scia dell’intuito di Emidio Calise, imprenditore simbolo dell’isola. La notizia triste è che il famoso bar di recente ha chiuso i battenti e chi vivrà, vedrà.
Intanto il cornetto ischitano continua a mietere picchi glicemici grazie ai maestri pasticceri dell’isola. Ne abbiamo incontrato uno, precisamente un maestro panificatore che sta facendo parlare di sé. Alessandro Slama, ischitano, di padre tunisino. Nel 2019 porta a casa il primo posto alla “Panettone World Championship”, mentre quest’anno si è aggiudicato il premio “Miglior Pastiera d’Italia” al “Regina Pastiera”. Competizione figlia di quella “Regina Colomba”, a sua volta sorella del blasonato “Re Panettone”. Abbiamo assaggiato il cornetto del suo panificio e l’abbiamo trovato superbo. Coerente con quella familiarità al prodotto lievitato che ti aspetti da un “campione” e anche per l’umiltà di attenersi alla tradizione. In questo caso, non sommariamente napoletana, ma segnatamente ischitana. L’isola di cui Alessandro è figlio.
Cornetto tradizionale quindi, con l’aggiunta della tecnica necessaria a lavorare, tirare e cuocere un impasto non semplice. Pasta brioche e pasta sfoglia da gestire una sull’altra. Alessandro Slama sforna un bel cornetto gonfio, forma classica che ricorda il corpo di un’ape. Fragrante e morbido al tempo stesso. Di un accattivante color miele di castagno, quindi oltre il dorato per questo pezzo di pasticceria isolana che ingolosisce tutti. Vesuvio compreso.
Alessandro, giusto per scaldarci un po’, cos’ha di speciale il cornetto ischitano?
“Il profumo, sicuramente. Arancia e vaniglia aggiunte direttamente nell’impasto. Per quanto riguarda gli agrumi, vivendo ad Ischia, cerco di utilizzare esclusivamente materie prime isolane. In più, c’è quel sapore inconfondibile che regala l’utilizzo della pasta madre. E quando finalmente lo assaggi ti accorgi della sua consistenza particolarissima. Un po’ sfogliato, un po’ brioche, diverso da tutti gli altri.”
Un impasto con due anime.
“Esatto, la particolarità è proprio questa. E se vogliamo anche la sua criticità nella gestione. Sono due impasti, pasta brioche e pasta sfoglia, che nella lavorazione finale si sovrappongono per poi essere piegati e tirati insieme. Il risultato è unico proprio perché non è il classico cornetto all’italiana e nemmeno un croissant. È ischitano.”
Una responsabilità prepararlo, un dovere eseguirlo a regola d’arte. Soprattutto senza lasciarsi disturbare dalle mode del momento.
“È molto più semplice preparare un dolce nuovo, partendo da zero, anziché ripetere qualcosa che è già praticamente un simbolo. Tradizione pura, per quanto mi riguarda, tutto deve essere fatto al meglio. In questo caso, non sono ammesse interpretazioni, ma solo accorgimenti nel metodo. La tecnica certamente evolve, ma va spesa a beneficio del gusto e della digeribilità del prodotto. Si possono prevedere varianti nei ripieni, il consumatore di oggi lo richiede, ma la versione classica devi proporla senza punto di vista. Perfetta e pulita nella sua identità.”
Quindi ripieno di crema pasticciera e amarene?
“Sì, il tutto profumato di limone. Meglio se ischitano, sull’isola abbiamo limoni magnifici. Tradizionalmente, di ripieno se ne inserisce poco e prima della cottura. In forno, quasi si fonde con l’impasto e diventa un tutt’uno.”
Arriviamo ai premi. Panettone World Championship. All’improvviso sei finito sotto i riflettori battendo molti soliti noti. Che cos’ha di speciale il tuo?
“Lasciami dire che è stata una soddisfazione immensa e contemporaneamente una grande responsabilità. Non conto più le prove fatte negli anni, in più c’è la preparazione dei canditi con materie prime locali, il miele che aggiungo all’impasto. Ovviamente la tecnica che è sempre migliorabile, a favore di una lievitazione non semplice. Cerco di fare attenzione a ogni dettaglio, ma se devo confessarti qual è l’ingrediente segreto, mi viene in mente l’amore. Suona retorico, ma senza di lui è inutile anche solo provarci.”
E quest’anno hai vinto con la Pastiera, consacrata come la migliore d’Italia nell’ambito della competizione “Regina Pastiera”.
“Anche lì c’è stato un lavoro di recupero della tradizione, con quegli accorgimenti che ad un certo punto devono fare la differenza. La pasta frolla la preparo con il burro, lo preferisco allo strutto per una questione di sapore. Per l’interno, a parte il grano, faccio un misto di ricotta di pecora e di mucca e, prossimamente, conto di sperimentare qualcosa con quella di bufala, molto saporita. Per il ripieno, annosa querelle tra chi mette un po’ di crema pasticciera e chi no. Io la metto, mi piace la sua cremosità. A parte questo, della pastiera contano molto le attese. Sapori che devono definirsi, consistenze varie. Guai ad avere fretta, cottura compresa. Lenta e senza mai eccedere nella temperatura. Te l’ho detto, no? Ci vuole amore.”