Un insolito incontro-intervista con l’executive chef de La Pergola, in trasferta presso il ristorante “Il Sanlorenzo”. Ovviamente a tavola
di Catia Sulpizi (catia@mangiaebevi.it)
“Chef ora che abbiamo finito dove la faccio accompagnare in Pergola?”. “No grazie, faccio quattro passi, devo portare a stringere questa cinta, è un regalo. È molto che rimando e ho promesso a Teresa che questa settimana lo avrei fatto”.
Ebbene sì, questo racconto o intervista, o nessuno dei due, inizia dalla fine. Non so voi che idea abbiate di Heinz Beck, ma per me lui è sempre stato Zeus di Pollon. Zeus vive in cima al Monte Olimpo.
“Zeus è un uomo molto buono non si arrabbia quasi mai, se però tu senti un tuono si è arrabbiato e sono guai, è chiamato anche Giove ed è il padre degli dei, è sposato con Giunone che è una dea pure lei”. Sarà che il suo regno, La Pergola, si trova in cima a Monte Mario, saranno quelle tre stelle che in una città come Roma brillano solo per lui, sarà che Heinz è stato ed è il padre di molti chef, sarà che la sua disciplina di tuoni ne produce. Nessun dubbio, il mio Giove è lui.
Con quella cinta in mano non riuscivo a capire se la divinità stesse assumendo proporzioni umane o viceversa. Tokyo, Dubai, Roma, Fighine, Algarve e il suo pensiero è una cinta. “Non è solo la cinta, è che l’ho promesso a Teresa”. Avevo la risposta al mio quesito. Né essere umano né divinità, un uomo che ragiona così è un marziano. Teresa è la moglie con cui è sposato dal 2001.
“L’ho dovuta corteggiare un anno prima di ricevere un bacio, a novembre chiesi la sua mano, a gennaio la sposai a Palermo”. Mi tira fuori una foto del loro matrimonio, il suo sguardo mentre la guarda dopo
15 anni è un regalo, vengo posseduta da questo suo inaspettato lato romantico – questo sarebbe il “freddo” chef tedesco? – e in un attimo vedo la scaletta di domande tecniche ridursi in coriandoli, voglio sapere di loro, di Teresa.
Con quale piatto questa donna siciliana ti ha conquistato? Cosa vuol dire essere la moglie di Heinz Beck e come avete creato questa sinergia vincente?
Il piatto me lo ricordo, sono gli anellini al forno. Mi piacerebbe che me li facesse più spesso. Mia moglie è intelligente, ha capito che tante rinunce si facevano per la famiglia. Lei vive dietro le quinte per scelta, non vuole farsi foto ed io sono anche felice di questo (Beck geloso è fantastico!), ma ha un ruolo importantissimo, anzi fondamentale per la riuscita di tutto, abbiamo fiducia e rispetto.
Teresa lavora?
Heinz sorride a questa domanda, mi rendo conto di non aver fatto bene i compiti a casa. Diciamo che io sono socio di Teresa e non viceversa, abbiamo una società la “Beck e Maltese Consulting”, lei è il CEO, la mente ed io il braccio. Lei si relaziona con investitori, avvocati e consulenti, io con fornitori, cuochi e stampa. Funziona perché noi ci completiamo.

Heinz Beck è l’uomo dalle lunghe relazioni. Un matrimonio dal 2001, in Pergola dal 1994, un sous chef Emiliano Pascucci che ti affianca dal 1996, ma la lista tra cuochi, pasticceri, maitre è molto più lunga, tutti rapporti di almeno 10/15 anni. Il segreto qual è?
Essere onesti e diretti. Io non aspetto che una situazione diventi un problema, se avverto qualcosa l’affronto al momento fin quando non risolvo, sono onesto e questo fa si che io possa dire cose che non piacciono, ma impiego il mio tempo per far capire alla persona il perché di ciò che dico. Inoltre non ho memoria, pur volendo sarei un pessimo bugiardo.
Altra relazione stabile è quella che colloca da anni “La Pergola” ai vertici di ogni guida gastronomica, in particolare dal 2005 con l’assegnazione delle tre stelle Michelin. Tre stelle apportano più oneri o più onori? Gli altissimi riconoscimenti danno o tolgono libertà nel processo creativo?
È un equilibrio. Gli oneri aggiungono perché danno lo stimolo a tutto il team, gli onori lo ripagano dell’impegno.
Heinz, secondo te esiste ancora oggi la critica gastronomica?
Esiste, sono i clienti. Noi prendiamo in con- siderazione anche le esperienze raccontate su Tripadvisor, esperienze di clienti che ti danno la possibilità di capire, se leggiamo delle note negative le prendiamo in esame con serietà. Come Pergola abbiamo fatto la scelta aziendale di non rispondere alle recensioni, ma questo non vuol dire che non ne teniamo conto.
Ci si abitua alla pressione tipica da “Prima alla Scala” di ogni sera?
No, non ti ci abitui mai, non è solo come la “Prima alla Scala”, è piuttosto come il Cess, hai tutti i giorni un nuovo palcoscenico, non hai una partitura. Come il Cess hai le regole di base, ma poi tutte le sere si inseriscono tante variabili possibili a cui cerco sempre di rispondere.
Per variabili si intendono anche variazioni sul piatto, ovvero Heinz è uno chef che si irrita se un cliente gli modifica un piatto o soddisfare il cliente è l’unica missione?
Accetto modifiche senza problemi, ma nel limite dell’equilibrio del piatto. Se capisco che il piatto con determinate variazioni rischia di non essere buono cerco di proporre altro.

Le nostre portate avanzano, ho voluto svolgere quest’incontro a tavola per afferrare ogni sfumatura che può derivare dal suo approccio con il cibo. Ben presto mi rendo conto che lui per deformazione professionale, di valutazione del cliente, sta facendo la stessa cosa con me.
Quanto mangio, come mangio, cosa bevo e cosa non bevo, se unisco il pane alle pietanze, il perché di questa passione per il tabasco. Noto anche un leggero disappunto su un eccesso di olio che ho versato su degli splendidi scampi, è troppo galante per farmelo notare, ma il linguaggio di uno sguardo è stato il latte della mia infanzia. Si affida, ripone il menù senza averlo nemmeno aperto. “Enrico tu sai” (Enrico Pierri è il proprietario de Il Sanlorenzo, ndr).
Nel mio invito a pranzo, per timore di non cogliere i suoi gusti, l’ho lasciato libero di scegliere la location.
Ha scelto il Sanlorenzo, a due passi da Campo de’ Fiori. E ho travato buffo, se non curioso, che uno chef tristellato scegliesse un ristorante che di stelle non ne ha una, così non ho potuto lesinarmi dal chiedergli il “perché”.
Perché nel mio tempo libero, che è pochissimo, io non penso a queste cose, non faccio queste valutazioni, scelgo un posto che mi fa stare bene. Qui c’è un pesce freschissimo, c’è Enrico che io stimo, un ambiente che mi fa stare bene e per me questo è più che sufficiente. Io scelgo le persone.
Effettivamente lo sento a suo agio, è rilassato, ma sarebbe perfettamente in grado di descrivermi cosa sta accadendo nel tavolo accanto. Ha un controllo naturale di ciò che gli gira intorno, come se la casualità non facesse parte del suo repertorio. È affabile con il personale, scrupoloso nell’osservare il piatto, mangia lentamente e finisce tutto. Quel dualismo di disciplina e passione che lo governa nella vita persiste anche tra forchetta e coltello. Cerco conferma di questo mio pensiero.
Bastone e carota, si potrebbe riassumere così Heinz?
75% bastone, 25% carota. Non sopporto la superficialità. Non sopporto quelli che mi dicono “può andare”. Se la pensi così “te ne puoi andare”. Io lavoro per l’eccellenza del risultato.
La rima baciata mi conquista e non ho difficoltà a credere che nella fauna di stagisti o di cuochi alle prime armi debba relazionarsi con alcune specie il cui valore aggiunto sarebbe l’estinzione.
Per essere accettato come stagista in Pergola si fanno carte false, poter dire di aver anche solo sbucciato patate per Heinz fa curriculum, tantissimi ragazzi ogni giorno vivono in competizione per poter mantenere il posto nella tua cucina e ambire ad una promozione.
Quanto tempo dedica Heinz agli stagisti? Come riconosci un ipotetico fuoriclasse tra decine di stagisti?
Meglio che un ragazzo non faccia carte false perché tanto poi arriva il momento in cui deve dimostrare il suo valore, quando io assumo non vedo il curriculum, ma guardo la persona.
Il fuoriclasse lo intuisco da come si mette in gioco, da come reagisce a diverse situazioni, dal suo essere una persona per bene e con dei valori. Io posso insegnare la tecnica, ma non ad essere delle brave persone o ad avere passione.
Io cerco nel mio tempo di costruire rapporti con tutti, di avvertire le loro esigenze, i loro timori. Posso fare l’esempio di Antonio Strammiello, che è stato il mio executive al Castello. Avvertivo che per completarsi avesse bisogno di staccarsi dalla sua realtà, di essere libero e responsabile nelle scelte. Così ho valutato per lui un trasferimento di 6 mesi in Giappone, ma ero consapevole che con difficoltà avrebbe accettato. Ne abbiamo parlato e riparlato, ho cercato di essere cauto, di rassicurarlo e di fargli capire che non era per mia volontà, ma propedeutico per la sua formazione. Oggi Antonio è il responsabile dei due miei locali di Tokyo, mi appare soddisfatto ed io sono soddisfatto del suo lavoro.
Ho apprezzato molto che in questa edizione di “Identità Golose” a rappresentare il dolce della Pergola tu abbia mandato un giovanissimo come Francesco Acquaviva (27enne pastry chef del Waldorf Astoria Palm Jumeirah). Lo conosco personalmente e non ho mai avuto dubbi sulle sue capacità, ma un palco è sempre un palco, quello di Identità non è facile e il ragazzo non aveva esperienze precedenti. Come e perché questa scelta?
Francesco ha meritato di salire su quel palco, lo ha meritato come persona e come pasticcere.
Uno chef showman deve tenere il palco, ma dare anche contenuti. Il bravo showman da contenuti senza dare la pesantezza dei contenuti. Ho lavorato 3 settimane personalmente con Francesco per preparare il suo intervento. Adesso ti mostro il dolce che lui voleva fare. Una sera mi sono seduto accanto a lui e gli ho detto che secondo me doveva fare altro, gli ho dato delle indicazioni e poi ho aggiunto che naturalmente, visto che l’intervento era il suo, avrebbe deciso lui cosa fare delle indicazioni che gli avevo appena dato. Poteva portare il suo dolce o riflettere e fare tesoro delle mie parole. E lui ha fatto quello che un grande chef non deve mai smettere di fare, si è messo in discussione. Te l’ho detto, lo ha meritato come pasticcere e come persona.

Siamo più che a metà del nostro pranzo, l’atmosfera è distesa, il vino sta facendo il suo corso. Raffaele – sommelier de Il Sanlorenzo che ben conosce i miei gusti – in questa occasione con un ottimo Blanc Fumé De Pouilly 2010 ha fatto colpo su entrambi. Rileggo gli appunti e noto che la parola “budget” è uscita fuori diverse volte. Mai avrei detto che La Pergola non avesse un’agenzia di comunicazione perché esente dal budget o che i video di Beck fossero “fatti in casa” perché non è stato ugualmente concesso il budget per una produzione professionale. Ciò è in contraddizione con le chiacchiere di corridoio che vedono la Pergola una location dal budget illimitato, a fronte dei risultati che porta. Una precisazione. La Pergola si trova all’interno dell’hotel Rome Cavalieri del gruppo Waldford Astoria e fa capo alla Hilton Worldwide, una delle maggiori società alberghiere nel mondo.
La Pergola è la punta di diamante della struttura e lo chef Heinz Beck è colui che fa brillare sempre più questo diamante, la cui luce riflette maggiormente l’hotel, il gruppo e la società.
Il dilemma che da sfogo al pettegolezzo: lo chef Heinz Beck è uno dei più grandi esponenti della ristorazione perché la Hilton Worldwide gli da tutti gli strumenti per esserlo o lo è a prescindere? Se la prima ipotesi fosse quella giusta sarebbe così sbagliato che il presidente di una squadra di calcio assecondasse le pretese (seppur esose) del suo allenatore, se quest’ultimo portasse perennemente la vittoria in casa? Seppur non sia elegante fare i conti in tasca alla persona, mi convinco che sia giusto trattare questo argomento delicato sperando di non cogliere ire funeste e ritrovarmi dal prossimo numero a scrivere trafiletti per blasfeme paninerie. Prendo fiato e mi butto.
Heinz, una domanda non proprio simpatica. Sono più volte che tra le righe avverto la tua volontà ed esigenza di attenerti al range di costi dettati dalla proprietà, in antitesi con un’idea generale, seppur aleatoria, che vede La Pergola al contrario libera da vincoli di budget. Sei consapevole di questo? Quanto c’è di vero? Dicerie di condominio, realtà passata o normale amministrazione?
Sono consapevole di queste chiacchiere, ma non mi interessano. Io occupo il mio tempo per fare bene il mio lavoro e non mi posso distrarre per ogni chiacchiera che sento. La Hilton Worldwide si sviluppa su un business model americano, dove i numeri sono quelli che contano, è un sistema che non ammette poesia, non si sviluppa solo sulla gloria dei riconoscimenti, tutto è molto concreto. Si lavora per portare risultati eco- nomici tangibili, si lavora per guadagnare, io ho tanti paletti economici da rispettare, non so perché si preferisce pensare questa cosa del mio lavoro.
Permettimi Heinz, io capisco il business model americano, ma proprio in base a questo modello il risultato complessivo è quello che conta. In tale ottica tranquillamente ci può stare che un comparto possa essere in perdita se questo comparto però produce una visibilità tale che maggiori il guadagno di tutti gli altri comparti. Non trovi?
Certo anche questo è vero, allora posso dirti che il mio lavoro deve essere, dopo tanti anni, eticamente sostenibile per me indipendentemente se l’Hilton necessiti o no di questo risultato. Il mio obiettivo è non perdere, faccio tante riunioni per analizzare il business plan, per analizzare i costi, per gestire le risorse al massimo. Io ci terrei che venissi a leggere i nostri numeri, sono certo che ti stupiresti di molte cose.
L’invito non mi dispiace. Una curiosità. Sei uno chef che cerca di mettere bocca su ogni cosa o hai facilità nel delegare?
Delegare è un lavoro difficile e devi essere consapevole che le persone alle quali deleghi possono sbagliare, quindi se non accetti questo non puoi delegare. Sia chiaro, possono sbagliare una volta.
A mio avviso gli errori più frequenti che può fare la persona che delega sono quattro:
1) errore di valutazione: ovvero il compito è più grande della persona;
2) non sono stati dati gli strumenti per attuare bene il compito;
3) non è stato fatto il training giusto alla persona;
4) errore di comunicazione: modalità, espressioni o tempi sbagliati.
L’errore va cercato dentro di se e non dentro gli altri. Diversamente non si cresce mai. È importante e necessario delegare, ma io preferisco fare più che posso in prima persona.

Sei lo chef del buono, del bello e del sano. Sul buono credo non serva argomentare. Sul sano il progetto “gemelli@fornelli” e i vari libri dedicati alla corretta alimentazione testimoniano la tua attenzione al riguardo. Sul bello inequivocabile è il profondo senso estetico dei tuoi piatti, ma vorrei allargare il campo all’arte che sempre più spesso sembra essere il pane quotidiano per gli chef del tuo calibro. Arte e cucina è un binomio blasonato o le affinità con l’arte sono veramente materia di ispirazione per uno chef? Come nutri questa sensibilità e come la convogli nella Pergola? Ci sono collaborazioni a riguardo?
La vita e le emozioni sono materia di ispirazione. Io amo l’arte, dipingo, frequento musei, ho una piccola collezione, ma rimane una parte privata del mio essere, come una stanza in cui appena posso mi rifugio, non la convoglio nella Pergola in maniera diretta. Poi certo l’arte può donare una sensibilità di espressione che inevitabilmente un artigiano come il cuoco può riversare nei suoi piatti.
Un’ultima domanda. Sei in Italia dal 1994, dallo stesso anno in Pergola, eppure dopo 22 anni la stampa di settore rimarca ancora le tue origini, con frasi tipo “lo chef tedesco che ama l’Italia o l’alta cucina tedesca che parla Italiano, la pasta che piace al tedesco e via dicendo”. Ho letto decine di tue interviste in cui dichiari che una persona non può scegliere dove na- scere, ma può scegliere dove crescere e tu hai scelto l’Italia e non intendi cambiare. Mi sembri ormai perfettamente integrato eppure questa cittadinanza sembra non arrivare mai. Non ti sei stancato di questi titoli di facile presa?
Ride, poi ride ancora, risponde: Tu che ne dici?
