La cucina di campagna è sbarcata in città con una cena speciale in scena negli spazi del ristorante Vertici all’interno dell’hotel Cardo Roma. Ospite d’eccezione: Giorgione. Noi lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare qualche aneddoto sulla sua cucina.
Nel nuovo indirizzo dell’hospitality romana, il Cardo Roma, Autograph Collection, si è svolta una serata all’insegna del cibo orto&cucina di Giorgione, il cuoco di campagna che ha rivoluzionato, con neologismi e forbite scelte linguistiche, anche il lessico della lingua gastronomica italiana.
Ad ospitarlo, in una serata organizzata e promossa dal Gambero Rosso, lo chef pugliese del ristorante dell’hotel Vertici (aperto a maggio), Evasio Giuseppe Vitale che commenta così la presenza di Giorgione: “onoratissimo di stare insieme a Giorgio con il quale ci siamo subito trovati nel condividere soprattutto una passione e una conoscenza sull’olio!”. E qui Giorgione ribatte: “che è un ingrediente molto importante quando si parla con uno chef perché vuol dire che c’è una cultura. Con Evasio ci siamo subito trovati perché usa degli oli molto buoni!”. “Vertici è un ristorante neonato che punta tutto sulla valorizzazione del prodotto del territorio ma soprattutto sul valore della genuinità e della nostalgia, del sapore ‘antico’, di un’emozione” aggiunge Vitale.
L’hotel

La serata, aperta al pubblico, comincia con l’ingresso nell’hotel conosciuto un tempo come Sheraton e adesso diventato Cardo Roma. L’ambiente, a partire già dalla hall, è totalmente rinnovato e si respira un’atmosfera che dosa insieme, in un equilibrio che funziona alla perfezione: lifestyle, accoglienza business e classicità. A partire già dal nome infatti il Cardo Roma scegli di omaggiare la città in cui si trova e la storia della grande Roma imperiale, come racconta Nicolas Romero Oneto Head of Cardo Hotels sull’ispirazione per il nome della nuova struttura: “Il cardo era una strada orientata a nord-sud nelle città romane, il punto centrale della vita economica, incarnando una visione vivace ed energica che ha ispirato il nostro nuovo concetto di ospitalità totalizzante”.
Il menu
La cena con il menù pensato e realizzato da Giorgione si svolge nelle grandi sale dai colori bianco opaco e terracotta di Vertici, il ristorante di cucina italiana dell’hotel che è diviso da una vetrata dal Vertici bar e dallo Spectio pool bar. Il menù, che viene raccontato all’uscita di ogni portata da Giorgione in persona è “Semplice e sostanzioso” e si struttura così: insalata di cavolo rosso, pappa al pomodoro, gnocchi al Sagrantino, coppa di maiale con contorno di patate alla tirolese. Per concludere torta della monaca. I vini serviti durante la cena sono delle Cantine Spinelli.
Ingolositi dalla presenza di Giorgione abbiamo approfittato per fargli alcune domande, dopo che lui ci ha raccontato prima del suo arrivo in Umbria nel ’95 dove ha assaggiato per la prima volta gli gnocchi al Sagrantino: “Che di tutto sapevano tranne che di Sagrantino!”, poi del perché ha pensato di iniziare a cucinare per gli altri. Ci dice che al fondo di tutto ci sono sempre state le ragioni della convivialità e dello stare bene insieme. Poi ha fatto un cenno al suo passato da veterinario ma anche della cottura della cicoria. Poi, solo poi, abbiamo potuto iniziare a fargli qualche domanda.



Sdigiunini, che cosa sono e da dove viene la parola?
“Allora tu sai che mi hanno messo anche sulla Treccani con quel termine sdigiunino?! (mi e ci guarda con un sorriso accennato e nascosto sotto il baffo prima della grande barba). Mi hanno fatto passare per un intellettuale, cosa che io non sono, comunque è successa questa cosa, quest’anno. Dunque per risponderti ti dico che lo sdigiunino è una pausa di riflessione tra un pasto e l’altro, è come la dieta che per me è una pausa di riflessione tra un pasto e un altro dove in mezzo fai lo sdigiunino. Hai un languorino? Apri il frigorifero e quello che hai a disposizione mangi, senza una grande ricerca, tanto nel frigorifero c’è sempre qualcosa…“
Uno sdigiunino tipo?
“Per esempio la mia tata (che è anche quella che gli ha insegnato a fare le patate tirolesi che sono servite quella sera stessa a cena) prendeva dei loro panini, tipo pane nero, e se aveva la mela ci metteva la mela. Aveva lo speck? E ci metteva lo speck. Gli accostamenti di sapore erano sempre inusuali, anarchici. Che poi in umbro si dice ‘sdigiunicchio’ e quindi ‘sdigiunicchio’ di qua e ‘sdigiunicchio’ di là ecco che è nato lo Sdigiunino”.
Hai creato dei veri e proprio modi di dire “laido e corrotto” ma anche riportato in vita parole desuete o poco praticate nel linguaggio di tutti i gironi come “nonnulla”. Che rapporto hai con la lingua italiana? Ti ingolosisce? Ne sei vorace?
“Ho un rapporto ottimo con la lingua italiana, io parlo proprio così… Allora la storia è questa: a casa non si poteva usare dialetto. Sono romano da sette generazioni, ma il romano non era consentito. A tavola si parlava italiano, poi fuori potevi parlare come volevi, ma ecco lo svarione dialettale non era consentito. Ma anche il piacere di trovare il giusto termine, quel linguaggio un pochino più forbito, che non era spocchia borghese, ma una ricerca seria sulle parole da mettersi in bocca. Oggi la lingua italiana non esiste quasi più e quindi la gente non parla e se non parla non è perché è scema è perché non ha le parole per dirlo, le parole vengono tutte tagliate e ricucite da tutto questo virtuale. E oggi come mai abbiamo ancora bisogno, di odori, sguardi, di una sensazione, di una fisicità! E poi soprattutto la cultura, oggi non scherziamo, un padre a tavola non parla più con il figlio, c’è lo schermo acceso. A casa mia, sono figlio di una montessoriana, c’era confronto, si parlava. Mi madre a 14 anni mi disse ‘Giorgio vai incontro alle cose con la curiosità e non con la diffidenza soprattutto nei confronti delle diversità, non mettere muri, barriere o filtri, vai con l’emozione che ti da quella cosa in quel momento’'”.
L’ingrediente preferito e l’ingrediente più distante dalla cucina di Giorgione?
“Allora diciamo che io dormo tra due guanciali… quindi per l’ingrediente preferito ti direi il guanciale, che è uno di quei grassi importanti, esaltatore di sapidità a differenza della pancetta che invece è un grasso e basta. Io lo uso molto in cucina, dove serve. Mentre per il più distante bah, glutammato monosodico, e tutti quegli esaltatori di sapidità innaturali.”
Ti stanno facendo assaggiare delle cose molto “strane” come pokè, bao e mac and cheese. Qual’è la cosa più che ti è piaciuta di meno?
“No una cosa terribile che è quella specie di pappa con quelle pallette dentro (parla del Bubble tea). È stata una cosa devastante! Era qualcosa di molto insidioso, che è mi è lontano culturalmente, poi ognuno fa come gli pare, sono molto rispettoso però non è cibo per me”.
Dal mondo all’orto di casa, nel tuo ci vai ancora?
“Il mio orto adesso è 4mx4m perché non c’ho più il tempo manco per respirare, mia moglie certo non si mette a zappare. Comunque ci metto quello che capita, come una pianta di pomodori stranissimi che mi hanno regalato e ne è venuta fuori una selva, una cosa meravigliosa. Adesso sto raccogliendo le colture autunno-vernine, le ultime, i vari broccoli, broccoletti, cavoli ecc. ma due, due, due.”
Hai detto una volta, durante un’intervista, che fai sia l’amatriciana che la carbonara con la cipolla, cosa è successo dopo?
“Non è successo niente. Io continuo a farla così, mi piace così. Io non ho mai pensato che in cucina ci siano dei diktat, a me piace così, poi tu falla come ti pare!“
