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Igles Corelli, il Re Mida della ristorazione italiana

igles corelli

Incontro-intervista con il celebre chef, paladino della “cucina circolare”, capace di collezionare ben cinque stelle in quattro ristoranti differenti

Tutto ebbe inizio nel 1982 al Trigabolo di Argenta (FE), dove Igles restò per 14° anni collezionando due stelle Michelin prima di passare, nel 1996, alla Locanda della Tamerice, a Ostelletto (FE), anch’esso insignito della stella. Tra il 2010 e il 2017 è la volta dell’Atman, tempio dell’innovazione e della sperimentazione premiato con la stella Michelin sia nella sede di Pescia che in quella di Lamporecchio, entrambe in provincia di Pistoia.

Non a caso ho definito Igles Corelli come il Re Mida della ristorazione italiana. Proprio come il mitico sovrano della Frigia, infatti, che trasformava in oro tutto ciò che toccasse, lo chef ferrarese ha il dono di trasformare in “stellato” (inteso come stella della Michelin, n.d.r.) ogni ristorante che abbia la fortuna di avvalersi della sua guida.

Lo abbiamo incontrato in occasione di “Expo Cook”, salone dedicato alla ristorazione tenutosi nei giorni scorsi alla Fiera del Mediterraneo di Palermo, che lo ha visto protagonista e ospite d’onore insieme a Bruno Barbieri, noto giudice di MasterChef e suo ex allievo (qui trovate il nostro racconto).

 Igles, qual è il tuo segreto?

Il segreto è quello di Pulcinella (ride). Dietro c’è tanta ricerca, della materia prima come dei collaboratori giusti, perché il cuoco da solo non fa nulla. È importante valorizzare sempre più il prodotto di chi lo produce. E poi c’è tanta dedizione, sperimentazione, contaminazione.

Ricerca, sperimentazione, contaminazione. Ma la tradizione quanto è importante per te?

La tradizione è importante per presentare i nostri grandi prodotti, ma la contaminazione, in futuro, sarà determinante. Noi al Gambero utilizziamo, codificandola, una ricetta della tradizione come ad esempio il tortellino alla bolognese, fatto con mortadella, prosciutto, manzo e parmigiano. Andiamo a prende il miglior prosciutto, il Fassone, il miglior manzo d’Italia, le uova di Parisi, la farina Solina per gli impasti e così via. Scegliamo i migliori prodotti per fare il miglior piatto e all’ora sì che all’estero ci vai in un certo modo. Quindi i tortellini in brodo, fatti con brodo di cappone di Marozzo e bue grasso, sicuramente molto meglio di un brodo di gallina. È ciò che stiamo tentando di fare, in questo momento, con le tecnologie.

 Tu sei uno dei maestri della cucina italiana ma sei anche il paladino della cucina circolare. Non si butta via nulla.

Si chiama appunto cucina circolare perché lo stesso ingrediente viene declinato in diversi modi in base ai diversi metodi di preparazione e cottura che permettono di ottenere diverse consistenze, gusti e aspetti partendo dalla stessa materia prima.

 Come viene applicata?

Un esempio è ciò che feci inizialmente, nel mio programma TV, dicendo alle signore: non utilizzate più questi gamberi congelati da 20 euro ma utilizzate quelli da 50. Ovviamente da casa hanno subito pensato che io fossi un folle, ma con i gamberi da 50 euro, quelli buoni, ho dimostrato loro che avrebbero risparmiato. Di conseguenza ho utilizzato tutto il gambero. La testa per esempio, non per fare un brodo semplice che non avrebbe avuto senso, ma per estrarre le proteine. Quindi a casa hanno imparato che con un po’ di acqua gassata, olio extravergine di oliva, un frullatore e un colino, riescono a tirare fuori le proteine. Basta fare un riso in bianco, fuori dal fuoco si aggiungono le proteine e diventa un risotto ai gamberi, anche se i gamberi… non ci sono!

igles corelli mercerie roma

Altro tuo credo è l’accessibilità. Con Mercerie hai reso l’alta cucina alla portata di tutti, grazie anche a prezzi accessibili.

Da Mercerie puoi mangiare bene con 45 euro. Per rendere questo possibile ho eliminato gli orpelli, inserito le tecnologie ed eliminato un po’ di personale. Non perché io voglia svuotare il ristorante di cuochi, ma perché voglio fare dei ristoranti più grandi. Quindi se prima, senza tecnologie, dieci cuochi gestivano un locale gourmet per 20 persone, adesso 10 cuochi gestiscono un locale da cento. Sarebbe fallimentare fare solo dieci coperti.

 Il nome Mercerie non è stato casuale. Lì dove una volta c’era un negozio di stoffe tu hai pensato bene di proporre bottoncini, praline, lasagnette.

Esatto. Difatti è stato proprio un’ispirazione legata alle piccole cose, non al finger food, ma piccole cose di grande qualità e con grandi materie prime. Così è venuta l’idea. Per esempio abbiamo una ventina di bottoni gelato, come il pistacchio di Bronte o la mandorla di Noto. Nella lasagnetta ci puoi mettere tutta la tradizione italiana, come la cacio e pepe, l’amatriciana, o il ragù alla napoletana. L’avvicinamento tra l’Emilia Romagna e il Lazio, quindi la pralina o polpetta, è stato fatto con i secondi italiani. Nel pollo alla cacciatora ho messo all’interno della pralina la salsa alla cacciatora, quindi quando tu mangi la pralina fritta mangi il croccante, poi ti arriva il pollo e dentro il liquido della salsa.

Un format che hai portato anche a Milano Marittima, al bagno Paparazzi.

Sì perché sono convinto che il futuro della ristorazione sarà anche “marittima”. Uno che va in vacanza, non può mangiare schifezze, ma in un certo modo. Come deve poter mangiare un buon gelato o bere un buon caffè o un buon vino. Secondo me la spiaggia è dove c’è gente e quindi è lì che ho voluto fare una nuova scommessa. Sto anche provando a convincere Paolo Cuccia, presidente del Gambero Rosso, a fare delle guide sulle zone balneari. Non solo per promuovere i ristoranti, ma anche per dare più visibilità agli stabilimenti. E puoi esser certo che ci riuscirò.

Come nasce invece la “cucina garibaldina”?

Nasce nel 2010 all’Atman, per descrivere il mio personale approccio alla cucina fatta di ricerca dei migliori prodotti che il nostro bellissimo paese produce, una cucina che appunto unisce l’intera Italia.

Hai mai avuto un maestro o un modello d’ispirazione?

Io sono un autodidatta. Ma devo dire grazie a Giacinto, il proprietario del Trigabolo, che mi ha portato in giro per il mondo ad assaggiare un po’ di tutto. Ho sempre avuto un occhio particolare per Valentino Marcattilii del San Domenico di Imola – nostro antagonista e allievo di Nino Bergese – perché lui faceva una cucina ispirata, moderna. Ecco, lui è stato la mia visione, nonostante avesse solo un anno o due più di me.

Qual è il piatto che più ti rappresenta?

Un piatto che feci nel 1985. Crème caramel di cipolle con la salsa al fegato grasso, zenzero, coriandolo e porri fritti.

Parlami della tua esperienza alla “Gambero Rosso Academy” dove, dal 2018, sei Coordinatore del Comitato Scientifico

A me è sempre piaciuto l’insegnamento. Come lo faccio in televisione in accademia lo faccio dal vivo. E al Gambero stiamo tentando di costruire il cuoco del futuro.

A proposito di “cuoco del futuro”, che ne pensi al riguardo degli istituti alberghieri e alle accuse che vengono loro mosse di non formare adeguatamente gli alunni?

Anche io ho mandato mio figlio alla scuola alberghiera, ma il punto è che se tutti si lamentano e poi nessuno fa nulla per migliorare la situazione è perfettamente inutile. Le scuole alberghiere, per quello che hanno a disposizione – ossia 2 euro o 2.50 per ogni alunno – secondo me fanno miracoli. Cosa può inventarsi uno chef con un budget del genere? Secondo me dovrebbero essere più sensibili soprattutto i consorzi o i produttori, donando ogni tanto agli istituti per esempio un Parmigiano Reggiano della carne. Oppure andando a insegnare gratuitamente agli alunni come si fa una degustazione. Così facendo le cose potranno migliorare. Da marzo, una volta al mese, andrò in sei istituti alberghieri di Roma per parlare del futuro della ristorazione.

E nel tuo futuro cosa c’è?

Ho i miei ristoranti che mi impegnano, ma sono molto concentrato sulle nuove tecnologie con il Gambero Rosso e sul coordinamento delle sei scuole. E questo è un impegno già abbastanza grande.

 

 

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