“Sua Maestà” il Sangiovese: storia, evoluzione e declinazioni di un vitigno unico.
Il “Re rosso” dei vitigni italiani, certamente il vitigno a bacca rossa più conosciuto in Italia e il più diffuso della zona centrale della Penisola. Testimonianze certe ci dimostrano come già gli Etruschi coltivavano il Sangiovese nell’area della Toscana, specialmente nelle colline di Firenze.
Il sanguis Jovis durante i secoli è stato soggetto a molteplici variazioni clonali che hanno portato alla distinzione di due diverse tipologie di Sangiovese: quello “Grosso” (acino più grande) che corrisponde ad alcune tipologie coltivate in Toscana, come il Prugnolo Gentile e il Brunello, con buccia spessa e un consistente contenuto di antociani a sviluppare un colore rubino con densità cromatica compatta e ottima capacità di affinamento e il Sangiovese “Piccolo” (va da sé, acino più piccolo), a cui appartengono le varietà dell’ Emilia Romagna, Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio, Puglia e Campania.
La storia del Sangiovese
Il Chianti
Non possiamo però iniziare questo viaggio di approfondimento sul Sangiovese non citando il Chianti: fu il primo termine utilizzato per indicare una zona geografica, poi estesa nel 1384 a zona di vino. La storia moderna inizia con il Barone Bettino Ricasoli. Fu lui a stabilire il connubio tra due vitigni a bacca rossa, il Sangiovese e Canaiolo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la precaria realtà economica spinse i giovani a trovare lavoro nelle città spopolando le campagne e rendendo i terreni privi di valore. Negli anni ’50 – ’60 poi, le fattorie potevano essere comprate con poco denaro, favorendo l’acquisto da parte di stranieri come Americani, Tedeschi, Inglesi e Svizzeri.
La Doc fu attribuita nel 1967 alla zona del Chianti e del Chianti Classico. Quest’ultima, si trova incastonata tra le città di Siena e Firenze e il Chianti invece, include sette sottozone, ognuna delle quali possiede il suo terroir e la sua storia.
Va ricordata poi, nei primi anni ’70, una profonda crisi identitaria del Chianti, dovuta forse a cloni errati o impianti discutibili, e la conseguente presa di coscienza del degrado della qualità che rendeva necessaria un’ineludibile rifondazione. In aggiunta, nuovi valori crescevano nel gusto e il successo di mercato del Brunello conteneva sicuramente un modello ispiratore: un grande vino da monovitigno che in qualche modo era simile al Sangiovese Chiantigiano.
Sassicaia e Tignanello
Se non bastasse, la sfrenata creatività dei geniali produttori di vini toscani, sentendosi troppo “stretta” all’interno dei confini di produzione che per legge venivano imposti, decise di uscire fuori dagli schemi delle denominazioni ufficiali e di creare, per la prima volta, altre due nuove etichette che andarono a prendere consistenza avviando una specie di rivoluzione nel ridefinire i contenuti dei futuri vini chiantigiani: nacquero così “Sassicaia e Tignanello, i primi due “Super Tuscans.
Il Tignanello nasce in pieno Chianti Classico con tipici vitigni chiantigiani ad esclusione di uve bianche ed è stata la prima dimostrazione della potenzialità e della caratura inesplorata del Sangiovese. Il Sassicaia nasce invece a Bolgheri, luogo di iniziale sconosciuta vocazione vitivinicola e con impianto di vitigni inizialmente irriguardosi verso la tradizione come il Cabernet Sauvignon.
Furono subito aspre polemiche e crisi di identità, ma la giustificazione venne subito accettata nell’altissima qualità del vino e nell’apertura verso un’epoca d’interazione culturale tra vari paesi. Va poi sicuramente segnalata la nascita di varie selezioni o Cru con contenuto di Sangiovese più bassa come il “Solaia” e il “Sammarco”, con apporto consistente in percentuale di Sangiovese.
Il Brunello di Montalcino
Grazie a questi vini, il Sangiovese ebbe un soprassalto di qualità in complessità di profumi e strutture di gusto, prodigio di persistenze e preludio di lunghi affinamenti. La conseguenza fu che nel 1996, la Docg cambiò permettendo che il Chianti venisse fatto con uve 100% Sangiovese e si consentì l’utilizzo delle barrique, fino ad arrivare ai nostri giorni dove la produzione del Chianti si divide in due gruppi: il primo comprende Colli Aretini, colli Senesi, Colline Pisane e Montalbano, con vini generalmente più freschi e di pronta beva, morbidi, fruttati e adatti anche ad affinamento, il secondo gruppo invece, ovvero I Colli Fiorentini, con Montespertoli e Rufina, che propone vini più strutturati e più adatti all’affinamento e che possono essere etichettati come Riserva.
Arriviamo finalmente a “colui” che più di tutti forse rappresenta uno dei più grandi utilizzi che si è fatto relativamente alla produzione di vino contenente Sangiovese: il Brunello di Montalcino. Prodotto sulle colline che circondano l’antica città di Montalcino, dove si produceva vino fin dal Medioevo, era inizialmente un vino dalle mediocri caratteristiche fino alla metà dell’800, quando intervenne il capostipite della famiglia Biondi Santi, Clemente Santi, che creò un vino superiore chiamato” Vino Rosso Scelto” e che iniziò a vincere importanti premi alle esposizioni di Londra e Parigi e anche in Italia.
Alcuni anni dopo, il nipote Ferruccio Biondi Santi continuò a valorizzare cloni del vitigno Sangiovese Grosso e nel 1964 Tancredi Biondi Santi avviò le pratiche per il riconoscimento della Docg. Da allora il Brunello di Montalcino ha l’obbligo di invecchiare per un totale di quattro anni, due dei quali in botte, mentre la Riserva viene affinata invece per cinque anni. Oggi alla guida della cantina troviamo Jacopo Biondi Santi, figlio di Franco, affiancato dal figlio Tancredi, settima generazione di Famiglia. Va ovviamente anche menzionato il fratello “minore”(accezione espressa con grande rispetto ovviamente) del Brunello, il Rosso di Montalcino: Doc dal 1984 e prodotto con stessa varietà di Sangiovese Grosso, ha caratteristiche di più bassa gradazione, sapori di frutti di bosco e fiori rossi, fresco e acido e con affinamento solo di un anno.
La Toscana ci offre però altri nobili esempi (qui è proprio il caso di dirlo) di utilizzo di questo pregiato vitigno come il Vino Nobile di Montepulciano, ottenuto con il Sangiovese che prende il nome di Prugnolo Gentile. Il Vino Nobile di Montepulciano, che diventò “Nobile” nel XVII secolo (attributo aggiunto per indicare qualità eccezionale) ha uvaggio di Sangiovese 70% e Canaiolo Nero con la possibilità di altre uve aggiunte: oggi tutelato dalla Docg, deve invecchiare due anni prima di essere messo sul mercato. Sempre nella stessa zona, viene creato il Rosso di Montepulciano che ha la stessa percentuale di Sangiovese ma che viene vinificato con gradazione alcolica più bassa ed è vino più immediato.
Il Morellino
Nella bellissima zona di Scansano invece, troviamo un’altra magia dei toscani, ossia Il Morellino (di Scansano, appunto) che nasce sulle colline ventilate di Grosseto e dove i produttori curano la produzione di rossi austeri ed affascinanti: storicamente la loro fortuna iniziò quando si incrementò la richiesta del Chianti e alcuni produttori chiantigiani acquistarono parecchi terreni nella zona, impreziosendo così il valore di quel territorio.
Oggi a Scansano abbiamo cantine nuove e di pregio per un vino importante, ricco di struttura e adatto anche all’affinamento. Il Morellino di Scansano, oggi Docg, viene prodotto con uve Sangiovese alle quali possono essere aggiunte altre uve a bacca rossa. L’invecchiamento di due anni poi, consente la dicitura Riserva.
Il Carmignano
Continuiamo la nostra passeggiata virtuale nel regno del Sangiovese, con un altro simbolo di questa terra e di questo vitigno: il Carmignano. Prodotto nei comuni di Carmignano e Poggio a Caiano in provincia di Prato, rappresenta una Docg nella quale al Sangiovese è permessa l’aggiunta di Cabernet Sauvignon e il vino deve essere affinato per almeno 18 mesi. Per la “Riserva” bisogna attendere tre anni e in questa tipologia, è decisamente un vino dalla grande longevità.
Bolgheri
Prima di terminare il nostro viaggio attraverso le righe della nostra rubrica e di gustarci, a questo punto, un meritato bicchiere di Sangiovese sotto la forma che più ci aggrada (ne abbiamo elencate abbastanza per consentirvi la scelta migliore), non possiamo non “inchinarci” di fronte ad un territorio che ha reso non solo la Toscana, ma l’Italia intera, una delle mete più ambite per gli appassionati del mondo del grande Vino: Bolgheri. La sola denominazione è sinonimo ormai di alta qualità e vanto regional-nazionale e copre la produzione vitivinicola del Comune di Castagneto Carducci. La Doc arriva nel 1994 e il marchio più blasonato (ma tanti ce ne sono) è certamente Sassicaia, vino prodotto con vitigni Cabernet Sauvignon all’80 %, ma con il Sangiovese componente importante nel Bolgheri Rosso e Bolgheri Rosato. Non aggiungiamo altro su Bolgheri perché è un territorio che va visitato, respirato e soprattutto “bevuto” e le parole non basterebbero a descrivere l’eleganza e la maestosità dei prodotti enologici che la grande maestria e passione dei toscani ha saputo regalare non solo a noi italiani, ma al Mondo intero.
Siamo al capolinea di questo approfondimento sul mondo dei vitigni, fatto mediante un viaggio virtuale che ha percorso il tempo e le sue evoluzioni, attraverso la sua perla rossa più preziosa: “Sua Maestà” il Sangiovese.