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Gianluca D’Agostino, chef stellato di quella Napoli che si riorganizza

Gianluca D'Agostino

Intervista a Gianluca D’Agostino, chef del ristorante Veritas, attualmente in coworking al Grand Hotel Parker’s. Con la nuova formula studiata ad hoc, si cena e si dorme in hotel. E così, una stella aiuta l’altra.

Gianluca D’Agostino è l’executive chef del Veritas a Napoli, una stella Michelin. Da quando siamo in emergenza pandemia, con il patron del ristorante Stefano Giancotti, condivide il delirante susseguirsi di brusche frenate e schizofreniche ripartenze. Per poi frenare di nuovo. Slanci creativi e, subito dopo, immobilismo avvilente.

Effetto Covid, in questo caso, sulla ristorazione. Settore ormai tangibilmente in crisi. Quando tutto ebbe inizio, il Veritas addirittura decise di precedere il Governo, chiudendo anticipatamente per la sicurezza di tutti. Poi le riflessioni, la presa d’atto che l’emergenza sarebbe durata più d’ogni nera previsione e quindi la necessità di correre ai ripari. Riorganizzarsi avviando, per la prima volta, il servizio delivery. Un menu strategico e la maniera giusta per farlo funzionare. Come sostiene lo stesso patron Stefano Giancotti “anche se te lo consegno a casa, è comunque un piatto del Veritas”.

Nessuna intenzione di bruciare in un attimo i traguardi conquistati negli anni. Il servizio di consegna a domicilio è partito con successo, interrotto dalle timide riaperture concesse all’ora di pranzo. Poi di nuovo la chiusura e ancora il delivery. Per chi lavora secondo elevati standard qualitativi, non è una passeggiata armare e disarmare tutto, un’intermittenza che sta sfiancando la mente, il corpo e l’anima.

Il coworking è sembrata l’occasione giusta da prendere al volo. Unire le forze e lavorare insieme, condividendo la stessa struttura. Nello specifico, stiamo parlando del vicino Grand Hotel Parker’s che, pur avendo già il suo ristorante stellato George al sesto piano, ha deciso di ospitare, fino ad aprile, la cucina di Gianluca D’Agostino e del Veritas negli spazi della terrazza panoramica Le Muse.

“Ceni e dormi in hotel”, questa la formula vincente della doppia staycation stellata, rinforzata da un’offerta che include pernottamento e garage.

Abbiamo intervistato Gianluca D’Agostino per farci raccontare non solo il momento attuale, ma anche la sua cucina. Sintetica e attenta all’ambiente, carta vincente in un momento storico che richiede grande spirito di adattamento. E naturalmente, resilienza.

Gianluca D'Agostino
Chef, la disturbiamo in un momento di grande concentrazione lavorativa. Alla spesa e all’esecuzione dei piatti, si aggiunge il fatto di non lavorare nella propria cucina. Il coworking al Grand Hotel Parker’s si conferma però una bella opportunità per i tempi che corrono. Ma quanta fatica.

Da quando siamo in emergenza Coronavirus, abbiamo cercato di superare l’immobilismo e darci da fare. Siamo abituati a stare sempre in movimento, soprattutto con la testa. Il proprietario, Stefano Giancotti, si è riconfermato il deus ex machina che conoscevo. Non ha mai smesso di trovare soluzioni e di rassicurarci. Effettivamente, se non fosse successo tutto questo, non avremmo saputo di poter essere tanto creativi.

A proposito di delivery, è piaciuta molto la “braciola”.

Un’idea che richiama i sapori di casa, un piatto fortemente identitario. Quanto alla logistica, desideravo far arrivare qualcosa di perfetto, senza necessità di cotture ulteriori. E così ho pensato ad un ragù napoletano, molto denso, mentre la braciola è diventata un sottilissimo carpaccio, arrotolato e farcito in maniera classica. C’è anche del mosto per aggiungere un po’ di dolcezza.

I suoi piatti ci consegnano un approccio molto materico. C’è sempre un prodotto importante al centro dell’idea che poi, ingrediente dopo ingrediente, traina il resto.

Con gli antipasti e i primi punto di più sulla creatività, sul gioco. Ma con i secondi mi piace evidenziare il carattere della materia prima in purezza. Un po’ come avviene in molti ristoranti del resto di Europa dove gli “starters” spesso sono dei piatti più o meno creativi e in molti casi giocosi, e se ordini come “main course” un rombo, ti arriva un piatto più concentrato sul rombo che sul gioco e la creatività . E poi se riesco a fare una grande spesa di mare, ti servo il prodotto nella sua essenza, senza troppe distrazioni.

Le esperienze lavorative che precedono il sodalizio con il Veritas la fotografano a Roma, in Costiera, ma anche all’estero. Si dice che tutto lasci un segno profondo.

Inevitabile, non solo a livello di tecnica, ma come approccio al lavoro. E poi ognuno tira le somme e traccia una propria linea di cucina. Io, come ho già detto, sono per l’essenzialità.

Tante collaborazioni, ma il menu ci parla di fagioli di Controne e di maccaronara. La sua Irpinia.

L’Irpinia per me è l’imprinting. Una maniera di vivere il cibo con un approccio diretto, sintetico. Soprattutto, rispettoso. Meglio aggiungere tre ingredienti e non quattro, se quel quarto presenta un conto salato all’ambiente.

Dicevamo, maccaronara. Chef, ci racconti questo storico formato di pasta, molto contadino e che lei utilizza per servire il ragù alla napoletana. Maccaronara contro ziti spezzati?

Sembrerebbero due opposti, una è fresca, l’atra è secca. Eppure sono più vicini di quanto possa sembrare. La cucina ama l’incontro di consistenzae. Ziti e ragù sono perfetti, ma la maccaronara con il suo tipico spessore e la ruvidità regge assolutamente la parte. Per me è anche molto importante il concetto di tornare a “masticare”, anche se è alta cucina.

Anche il baccalà è sempre presente in carta. Un bigliettino da visita?

Più che altro un doveroso omaggio alla città che mi ospita. A Napoli, precisamente, nell’area vesuviana, ci sono i migliori grossisti di baccalà, è un’antica tradizione per un ingrediente che, da sempre, regna sulla tavola dei napoletani. Cucina del territorio, quindi.

Poesia a parte, ad un certo punto arriva quel momento dell’anno in cui la Guida Michelin rinnova (oppure no) la stella. Stato d’animo?

In fibrillazione, sembra di fare l’esame di maturità ogni anno. Non c’è nulla di scontato, così come  in ogni singolo giorno di lavoro. Sia che lo si chiami delivery o altro, l’approccio è sempre lo stesso, al 100%.

Gianluca D'Agostino

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