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L’Emilia Romagna rientra nella zona gialla, ma per la ristorazione bolognese, come nel resto del paese, è allarme rosso

L’ultimo dpcm ha dato un’ennesima stoccata tutto il comparto agroalimentare. Noi abbiamo chiesto impressioni e commenti ai protagonisti della ristorazione bolognese e emiliana. Questo è quello che ci hanno raccontato.

Non è un periodo facile per la ristorazione bolognese, italiana e mondiale. Le restrizioni “a semaforo” dell’ultimo dpcm hanno dato un duro colpo al comparto, già fortemente penalizzato da questa pandemia. E se, da una parte, c’è chi ha deciso di resistere con i servizi di delivery e asporto, dall’altra c’è anche chi ha mollato la spugna, lasciando la saracinesca abbassata in attesa (si spera) di tempi migliori.

In Emilia Romagna la situazione non è diversa, nonostante sia considerata una “zona gialla”. Abbiamo parlato con alcuni dei protagonisti e degli addetti del settore della ristorazione bolognese. Questo è quello che ci hanno raccontato.

Vincenzo Vottero – Vivo Taste Lab

“Al momento ognuno sta valutando come comportarsi, perché ogni realtà è a sé” racconta Vincenzo Vottero, titolare del Vivo Taste Lab e presidente della sua categoria aderente a Confcommercio.

Fare il delivery o l’asporto può essere un aiuto, ma non una soluzione. Per uno come me che è a 14 chilometri da Bologna è difficile fare l’asporto… penso di fare il delivery con un menù degustazione, altrimenti non ci si sta dentro con i costi se si considera che le piattaforme si trattengono il 30%. Comunque fare il delivery o l’asporto può essere un aiuto, ma non certamente una soluzione. La situazione non è molto diversa da maggio e questa è la pietra tombale sulla ristorazione bolognese, certo l’estate ci aveva un po’ illusi, ma soprattutto nel centro città ci sono realtà che hanno perso fino all’80% del fatturato”.

Carlo Maria Borsarini – La Lumira

Carlo Maria Borsarini, chef patron del ristorante La Lumira di Castelfranco Emilia e presidente della Risto-associazione Tour -Tlèn: “La situazione attuale colpisce a macchia di leopardo perché dipende molto dal tipo di clientela. Personalmente devo dire che finché ci lasceranno aperti a pranzo, e soprattutto il sabato e la domenica cerco di resistere, anche se si lavora al 30-40% della potenzialità. Lo scenario del delivery e dell’asporto è cambiato molto rispetto alla scorsa primavera, perché la richiesta è calata molto forse per un aumento dell’offerta. Avendo una linea pronta al momento posso fare fronte con entrambe le soluzioni, ma in futuro se ci saranno ulteriori restrizioni sarà difficile, quindi penso che potrei mantenere l’asporto. Resta comunque un problema a monte, tutti abbiamo azzerato le cantine e quindi l’approvvigionamento anche degli altri prodotti, soprattutto quelli freschi e deperibili, è molto più limitato non sapendo fino a quando saremo aperti”.

“Tutti i  fornitori – continua – e più a monte i produttori sono un mondo che si blocca, per questo dal punto di vista etico io sarei per la chiusura totale, per far capire che cosa significa fermare la filiera agroalimentare. La nota positiva che, in questo buio scenario, ho notato è la molta solidarietà da parte dei clienti, e questo mi fa piacere  perché riscatta quell’immagine con cui, a volte, dipingono la nostra categoria come “ avidi imprenditori – evasori” .

Maurizio Fini – La Pescheria del Pavaglione

A proposito di prodotti deperibili ecco la voce di chi serve il pesce fresco dal 1982 a ristoranti e clienti e nel famoso Mercato di Mezzo ha lanciato a Bologna, diversi anni fa, la moda dell’ “Apery Fish”, ovvero la possibilità di consumare su posto piatti pronti crudi e non, con un calice di vino.

Maurizio Fini, titolare con la famiglia del La Pescheria del Pavaglione, dice: “La fornitura dei ristoranti, che prima incideva per il 30% circa, a oggi si è praticamente azzerata. Tuttavia, forse con il lockdown, la gente, restando più ha casa, ha iniziato a cucinare di più. Questo, in qualche modo, compensa la perdita. Per quanto riguarda invece il locale all’interno del Mercato, nonostante la chiusura sia prevista alle 18.00, è aperto. Ora facciamo un pranzo lungo ma che non va oltre le 16.00 e non prevediamo di organizzarci con un delivery, troppo complicato e difficile per le nostre materie prime”.

Maurizio Distefano – Liccu Golosità Siciliane

Di opinione diversa è Maurizio Distefano, titolare di Liccu – Golosità siciliane: “Ho inaugurato la nuova sede del mio ristorante, con tre mesi di ritardo a causa del lockdown (l’apertura era prevista a marzo n.d.r.),  nonostante questo abbiamo lavorato bene. Ora viviamo nell’incertezza, ma ho deciso di resistere. Abbiamo attivato Just Eat e Uber Eats, e, se il cliente venerdì e sabato sceglie l’asporto, con una spesa minima di 20 € gli regaliamo il dolce.” 

Stefano Tedeschi – Ristorante Diana

Stefano Tedeschi, titolare dello storico e internazionalmente conosciuto Ristorante Diana, situato nella centralissima via Volturno, laterale di Via Indipendenza, afferma: “Noi ci atterremo alle disposizioni previste. L’asporto o il delivery non lo possiamo fare e non lo vogliamo fare. La nostra cucina è quella tradizionale bolognese, non ci consente quel tipo di servizio perché il cliente riceve a casa un prodotto che non è come quello che mangia qua. Come possiamo consegnare i tortellini in brodo, che sono il piatto più richiesto, o il bollito che va tagliato al momento e servito, da scaldare?  È uno scadimento della qualità che noi non vogliamo, quindi speriamo di resistere e tirare avanti”.

Cinque voci diverse, dunque, ma che fotografano la realtà attuale del comparto di una regione che, nonostante tutto, si riprenderà, anche stavolta. Speriamo presto.

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